giovedì 2 aprile 2015

L'INCAGLIAMENTO DEL PIROSCAFO "MARIA MATILDE" DINNANZI A CORSO ITALIA


Francesco Boero




Da IL LAVORO di venerdì 23 aprile 1926

L’incagliamento del piroscafo “Maria Matilde” dinnanzi a Corso Italia

Il mare tempestoso, le raffiche di libeccio ed un grave guasto al timone cambiano rotta alla nave appena uscita dal porto e la mandano ad incagliarsi sulle scogliere della batteria di Vagno.            
Il faticosissimo e pericoloso salvataggio dei 31 uomini di equipaggio. Magnifici atti di valore. Quattro feriti all’Ospedale ed una trentina di contusi ed assiderati
Il tempo disastroso di questi giorni, con la violentissima libecciata di mercoledì, ha provocato un grave disastro marittimo che fortunatamente non ha avuto conseguenze letali per gli uomini di equipaggio del piroscafo sinistrato.                                                                        
Nella mattinata di mercoledì alle ore 9.30, il piroscafo “Maria Matilde” della società Anonima Vapori e Carboni (sede in Genova, piazza Grimaldi 1), partiva dal nostro porto diretto a Gibilterra per ricevere ordini. Non appena il vapore ebbe superato l’avamporto e fu entrato nel mare libero, la violenza delle onde lo fece lavorare subito faticosamente, poiché, vuoto com’era, prese a rullare e a beccheggiare con gran disordine. Ad un certo punto il “Maria Matilde”, che per superare le onde altissime, andava avanti a tutto vapore, prese a non obbedire più al timone che doveva farlo virare a destra onde far rotta verso
largo.                                                                                                                         
Notato il fatto, il comandante del piroscafo, Eugenio Amoroso, abitante in via Carlo Barabino 13-7, (non risulta diplomato al Nautico S.Giorgio di Genova) e ritenendo fosse dovuto alle correnti che facevano gran forza sul bastimento vuoto, comandò si aumentasse ancora lo sforzo delle macchine e di manovrare in modo da rivolgere la prua alle onde.                                                                                                                                            
Un primo tentativo                                                                                                    
La manovra però non si poté eseguire, il “Maria Matilde”, sballottato come un guscio di noce dal mare tempestoso, non sentiva l’azione del timone, e nemmeno quella delle eliche e continuava a presentare il fianco alle onde. Poiché non si riusciva a far virare il piroscafo, il comandante pensò di gettare le ancore, dato che si presentava anche il pericolo di andare ad incagliarsi sulle scogliere.                                                                                                                
Ma nemmeno questo si poteva fare; infatti, per compier la manovra sarebbe stato necessario fermar le macchine e lasciare il vapore in completa balia delle onde che avrebbero potuto molto facilmente lasciarlo sugli scogli prima che le ancore avessero fatto presa sul fondo.               
Non rimaneva perciò altro che tentare ancora di raddrizzar la rotta. A tal uopo si gettò in mare soltanto l’ancora di destra che facendo discreta presa sul fondo permise di virare alquanto verso il largo. Per un poco parve tutto andasse bene, quando la violenza delle onde riportò nuovamente il piroscafo nella critica posizione di prima.                                                      
A questo punto si era giunti all’altezza della Foce, il comandante Amoroso, visto che era inutile ogni manovra, decise di ritornare in porto. Impartì gli ordini opportuni, e fece gettare nuovamente l’ancora di destra per far virare di bordo, quando accadde un gravissimo incidente, appunto quello che provocò il sinistro. 
                                                                                 
Il guasto al timone                                                                                               
Per far compiere la manovra al piroscafo, il timone era stato portato tutto verso destra; ciò naturalmente sottoponeva a grandissimo sforzo i tiranti di comando. E fu per questo sforzo che durante la manovra alcuni marinai si accorgevano che si era spezzata una delle catene che agiscono sui tiranti. La gravità dell’incidente fu compresa immediatamente dall’equipaggio. Si tentò, per quanto con la certezza di non riuscire, di riparare alla meglio con dei cavi manovrati da paranchi, ma il timone non rispondeva più. Anche i tentativi di riallacciare la catena spezzata furono completamente inutili.                                                             
Il mare era sempre in furia, ed il “Maria Matilde” si trovò in tal modo, non più governato, nella più insostenibile situazione.                                                                                                     
Non v’era altro da fare che chiamar aiuto e cercar di tenersi al largo più che era possibile. Le sirene di bordo lanciarono così i quattro acutissimi segnali di soccorso, e nel frattempo, in attesa che sopraggiungesse qualche rimorchiatore, il comandante fece eseguire tutte le manovre migliori per resistere alla forza delle onde.                                                                               
Le criticissime condizioni del piroscafo erano state avvertite da terra. Sulla rotonda di via Corsica specialmente e sulla Circonvallazione a mare gran folla si ammassò poco a poco, seguendo con ansia febbrile tutti i movimenti del “Maria Matilde” che appariva chiaramente in pericolo.                                                                                                                                     
Quando poi furono lanciati i laceranti urli della sirene, e si videro innalzare ai pennoni le bandierine di segnalazione, si produsse nella folla un vero senso di angoscia.                                      

Verso il disastro                                                                                                        
Per oltre mezz’ora si vide il piroscafo lottare con l’immane forza del mare, che lentissimamente, ma inesorabilmente, lo spingeva verso riva.                                                                      
Il bastimento procedeva in linea obliqua verso terra, e dalla Foce venne spinto nella direzione di San Giuliano. Da tutto Corso Italia e dalle altre località dominanti il mare si seguiva con grande ansia il piroscafo che appariva sempre più pericolante, ed alcuni pescatori pensarono anche di correre al soccorso con delle imbarcazioni, cosa però impossibile per la violenza della risacca intorno ai fianchi della “Maria Matilde”.                                   
Intanto sopraggiunsero dal porto due grossi rimorchiatori inviati dalla Capitaneria sotto gli ordini del comandante Mango, ma nulla poterono fare. Anche per le due barcaccie era impossibile avvicinarsi alla nave senza gravissimo pericolo di venir soverchiate dalle onde frangentesi, e ciò specialmente per la grande vicinanza alla riva. I rimorchiatori pertanto, dopo aver sostato pochi minuti in mare e aver tentato, inutilmente, qualche manovra per l’abbordaggio, tornarono indietro.                                                                                                         
Il “Maria Matilde” era così inesorabilmente perduto e all’equipaggio non restava da fare altro che cercare di render meno grave il disastro che si attendeva da un momento all’altro. Il comandante Amoroso, che con perfetto sangue freddo aveva fatto tutto il possibile per il suo piroscafo, tentò di spingere la nave verso la punta del forte di San Giuliano, in modo da superarla e trovare nella spiaggia di San Nazaro un fondo più adatto a calar le ancore.                                                                                  

L’incagliamento                                                                                                  
La manovra riuscì in parte. Giunta che fu la nave davanti al forte, si calò un’ancora di prua, ma non era stato ancor raggiunto il fondo che una raffica violentissima ed alcune successive ondate gigantesche voltarono e sollevarono la nave portandola, di fianco, sulle scogliere prospicienti il forte, dove si incagliò a circa venticinque metri dalla riva. All’urto, alcuni uomini dell’equipaggio stramazzarono a terra, ma fortunatamente non si ebbe alcuna grave conseguenza.                                                                                                                                       Erano le 10.25. Lo scroscio prodotto dallo strisciamento della carena della nave sugli scogli e uno scricchiolio pauroso impressionarono enormemente coloro che, impotenti, vi avevano assistito. Si organizzarono allora febbrilmente le opere di soccorso.                                                  
A bordo del piroscafo si trovavano 31 uomini, tra equipaggi e ufficiali, e ad essi bisognava pensare. Le ondate violentissime, cozzando contro i fianchi, avvolgevano tutto il bastimento in una nuvola di acqua, e facevano anche seriamente pensare alla sua stabilità.                          
Mentre una Guardia di finanza avvertiva il proprio comando, e dalla Capitaneria di bordo partivano il capitano Villa ed il maresciallo Mazzei, i pescatori e gli uomini di mare delle vicinanze organizzavano i soccorsi per loro conto.                                                                            
Dal bordo della “Maria Matilde” un uomo lanciò un salvagente legato ad una corda sperando di mandarlo a terra, ma esso cadde in mare. Un secondo salvagente subì la stessa sorte.                            

Gli eroismi                                                                                                                  
E fu a questo punto che si ebbe il primo ed il più grande di una serie di atti di eroismo che stanno ad indicare quale sia il valore della nostra gente di mare.                                                        
A terra regnava una grande confusione fra tutti i volenterosi che cercavano di correre all’aiuto. Prese allora la direzione dei soccorsi il bagnino Giuseppe Ravaschio che dispose ciò che si doveva fare. Attese il momento opportuno, cioè quando il piroscafo si fu stabilizzato sugli scogli e, deciso che bisognava portare i soccorsi dalla terra alla nave, e non viceversa, diede le istruzioni necessarie ad un valoroso giovane.                                                       
Questi, un socio della Società Ligure di Salvamento, l’impiegato Ugo Monticelli di Enrico, di anni 19, abitante in via Casaregis numero 6 interno 3, visto che era impossibile far arrivare un salvagente a terra, ne gettò egli uno in mare, legato con una corda che veniva tenuta dalla riva, e, spogliatosi, si tuffò in acqua. Lo raggiunse incurante della violenza delle onde e dei frangenti che minacciavano ad ogni momento di sbatterlo sugli scogli, e a potenti bracciate si portò fin sotto il piroscafo.                                                                                                                
Gli venne subito lanciata da bordo una corda con cui egli legò il salvagente, ed un’altra ancora, più grossa, che attaccò anche all’anello di sughero.                                                                
Venne così formata una specie di teleferica che permise a tutto l’equipaggio del piroscafo di raggiungere la terra.                                                                                                                             
Il salvagente venne sfilato da bordo e dalla riva, ed il signor Monticelli tornò così all’asciutto traendosi dietro anche la fune più grossa. Questa, che era stata assicurata al “Maria Matilde”, venne legata, ben tesa, a terra, e su essa si fece scorrere il salvagente, tirato alternativamente da bordo e dai pescatori e bagnini che erano accorsi in gran numero sul posto.                                   Il Monticelli, tese che furono le corde, si gettò nuovamente in mare per aiutare i naufraghi. Per primo si era tuffato un marinaio che per la violenza delle onde non riusciva a tenersi bene il salvagente, sicché accorse in suo aiuto il Monticelli che lo condusse sano e salvo a terra.                                                                                                                                                      

Un salvataggio laborioso                                                                                
Secondo a gettarsi in mare dal piroscafo fu un negro eritreo, il fuochista Abdulla Azebà, di anni 48, nato a Massaua, che preso da panico, corse in coperta e, noncurante degli ordini dati dagli ufficiali i quali avevano stabilito un turno per il salvataggio onde non ingenerare confusioni dannose, si calò in acqua per una corda, e prese a nuotare per raggiunger terra.              
Il tentativo era però pazzesco, ed il moro stava per annegare. Fu visto scomparire sotto le onde, riapparire nuovamente, poi ancora affondare, e sarebbe certo affogato miseramente se non fossero accorsi in suo aiuto, mettendo a grave rischio la propria vita, altri valorosi.                    
Il Monticelli, che era già risalito a terra, non appena ebbe visto il moro in pericolo, si fece largo e si gettò subito in suo soccorso. Lo raggiunse, lo afferrò e lo portò fin su uno scoglio. Qui, un colpo di mare strappò il salvatore dallo scoglio e lo sbattè contro la riva. Intanto si erano tuffati anche altri: il bagnino Giuseppe Maina fu Alessandro, abitante in piazza Cavour 15, il fuochista Ernesto Dodero di Andrea, di 32 anni, abitante in via Della Casa, che raggiunsero il moro nel momento in cui un’ondata stava per soverchiarlo. Lo afferrarono solidamente e, a grandissimo stento, riuscirono a portarlo, insieme con il carpentiere Nicolò Masnata di Luigi, di anni 28, abitante in via Fogliensi 12-7, fin sotto la banchina ove fu issato a braccia da altri.                                                                                      Intanto, era iniziato il passaggio degli uomini del Maria Matilde a mezzo del salvagente che, per maggior sicurezza, era stato unito alla fune portante più grossa mediante una specie di puleggia. Anche qui però successero degli incidenti.                                                                          
Un marinaio che da poppa si stava calando con una corda per raggiungere il salvagente, ad un certo punto, mancategli le forze, cadde in mare e si trovò sballottato nella risacca. In suo soccorso si gettò il pescatore Francesco Donati che lo portò a salvamento fin sugli scogli ove si trovava pronto a ricevere ambedue il carpentiere Luigi Masnata di 56 anni, padre di Nicolò.                                                                                                                                               Ancora un altro incidente si ebbe quando il salvagente si intoppò in un nodo della fune mentre vi era attaccato un marinaio. Bisognò che il Ravaschio si gettasse in acqua e andasse a liberare il salvagente e a rimettere a posto tutto.                                                                      

Tutti salvi                                                                                                            
E così , uno per uno, tutti i componenti l’equipaggio raggiunsero terra. Ultimo il comandante Amoroso, che era riuscito a salvare le carte ed i valori di bordo, e che volle anche passar la notte vicino al suo piroscafo. A tal uopo fu alloggiato nella Batteria del Forte Vagno.                      
A terra si trovava gran quantità di barelle e di militi di tutte le pubbliche assistenze, nessuna eccettuata. Tutti i salvati, intirizziti dal freddo, furono prontamente trasportati nella vicina sede della Croce Bianca ove vennero curati e rifocillati con viveri e bevande.                               
Ecco un elenco dei ricoverati nella Società di pubblica assistenza: Donato Balenti, Francesco Vellani, Andrea Volpi, Lorenzo Nebbia, Vittorio Comai, Raffaele Conigliano, Vincenzo Cancelleri, Pietro Ricci, Luigi Mulazzani, Giovanni Pilone, Antonio Zunino, Gira Borello, Giuseppe Musimeci, Antonio Poddighe, Aniello Palmieri, Salvatore Finocchiaro, Emanuele Imperiale, Mario Salvatore Mesti, Giacinto Giulchini, Raffaello Caltabiano, Carlo Teota Oltre a costoro che ricevettero cure dalla Croce bianca, tre uomini dell’equipaggio del Maria Matilde, quelli che si erano gettati in mare per primi, furono trasportati all’ospedale avendo riportato contusioni e ferite più o meno gravi. Ecco i referti rilasciati per essi dai medici Migone e Fresco.:                                                                           Domenico De Muro di Stefano, di anni 29, di S. Teresa di Gallura (SS) qui dimorante in via                 Federico Alizeri 9 rosso, marinaio; assideramento e contusione al ginocchio destro, guaribile in12 giorni;                                                                                                                                                  -Azebà Abdalla, di anni 48, da Massaua, fuochista; assideramento, contusioni ed escoriazioni multiple agli arti inferiori e superiori ed al torace; prognosi riservata;                                                   - Lorenzo Mazzali di Evangelista, d’anni 31 da Bra (Cuneo) e residente alla Certosa in via G. Verdi 3-7, secondo ufficiale macchinista; assideramento; prognosi riservata


Le autorità sul posto  
La notizia del doloroso naufragio veniva comunicata verso le ore 11 alle autorità cittadine che trovavansi riunite alla cerimonia celebrativa al Politeama Genovese e subito, avendo proprio in quel momento avuto fine la manifestazione, su veloci automobili si portavano sul luogo a presenziare all’opera di salvamento, il  Prefetto Grand’uff. Bocchini; l’on. Broccardi, commissario al Comune, col prof. comm. Monleone; S.E. l’Ammiraglio Cagni; il cav.uff.De Felice, capo di Gabinetto del Prefetto; il Comandante in seconda del Porto, capitano Ascoli, il generale Vernè, comandante la III Zona della M.V.S.N., coll’aiutante seniore Macellari ed il suo capo di Stato Maggiore console Colantuoni; il centurione Giani, aiutante maggiore della 31° Legione M.V.S.N..                                                                                                             
Sul posto, subito dopo il sinistro, erano anche accorse, coadiuvando efficacemente al salvataggio ed al servizio d’ordine, la Centuria Ciclistica della 31° Legione al comando del C° manipolo Zerega e la 7° Centuria al comando del Centurione Rabagliati.                           
Superiore ad ogni elogio fu l’opera di soccorso e di assistenza prestata ai naufraghi dalla benemerita P.A. Croce Bianca. Dall’umile milite ai componenti il Consiglio direttivo tutti gareggiarono in nobiltà di slancio nell’assistenza agli sventurati che, giunti mezzo assiderati e completamente nudi alla loro sede, dopo le cure del caso, furono ricoverati nella sala del dormitorio, nei letti e su alcune barelle, ricoperti con grosse coperte di lana e ristorati con brodo caldo e caffè, con altre bevande e con pietanze.                                                               
Durante l’opera di salvataggio all’esercente in calzature Gastone Cianchi di anni 30 da Firenze avvenne una lieve disgrazia. Egli stava discendendo su uno scoglio per soccorrere un naufrago che non riusciva ad arrampicarvisi quando scivolò e cadde dall’altezza di circa sei metri. Raccolto dai militi della Croce Rosa di Rivarolo fu trasportato all’ambulatorio di via San Giuseppe ove il dott. Migone gli riscontrò una distorsione al ginocchio destro guaribile in dieci giorni.                                                                                                                                    
Dei tre marinai feriti il Mazzoli e il De Muro ritornarono ieri mattina alle loro abitazioni, mentre il moro fu trattenuto perché in condizioni più gravi.                                                          
L’opera di soccorso prestata dai bravi pescatori, marinai, bagnini, operai, ecc. accorsi sul posto fu superiore ad ogni elogio. Citiamo pertanto i nomi di alcuni di costoro che sono degni di essere additati all’ammirazione dei cittadini.                                                                     
Oltre ai già nominati MASNATA padre e figlio, MONTICELLI, RAVASCHIO, MAINA, DODERO, DONATI, si sono particolarmente prestati: Giuseppe MORANDO, scaricatore; Ercole LEVERATO; Tommaso COLOMBINO; Abramo MORANDO; che stettero in acqua a raccogliere i marinai.                                                                                                                                                Sono da nominare ancora: Giacomo CARROZZINO; Romolo SOLARI; Giuseppe SACHERI; Giacomo DENARO; Luigi ed Erminio GIORGI; Giuseppe GHIARA; Vincenzo e Giuseppe TARUFFI; G.B. OLIVARI; Carlo PIAGGIO, ed altri.                                                                              I 

danni                                                                                                             
Dato lo stato del mare, per cui nessuno ha ancora potuto metter piede sul piroscafo, non è possibile precisare i danni riportati nell’incagliamento. A quel che si può giudicare, è da ritenersi che la carena sia sfondata in qualche punto. Ma altro non si può dire, e bisogna attendere un sopralluogo di tecnici.     Il “Maria Matilde” era stato costruito e varato a Glasgow nel 1894 col nome di “Eleonora”. Ecco le sue caratteristiche tecniche: stazza tonn.3722 lorde e tonn.2391 nette, portata circa 5300 tonnellate di carico, lunghezza 109 metri, larghezza m.13,50, Potenza della macchina 1450 cavalli effettivi.





Da IL LAVORO di sabato 24 aprile 1926
Il disastro del “Maria Matilde”
Il piroscafo dovrà essere demolito sullo stesso posto dell’incagliamento
Il fatto che non è ancora stata iniziata l’inchiesta ordinata dal comandante in seconda del Porto non ha ancora permesso ad alcuno di salire a bordo del piroscafo Maria Matilde sempre incagliato sugli scogli della batteria Vagno.                                                                             
Anche senza fare una visita minuziosa alla nave, si è potuto peraltro stabilire che non sarà assolutamente possibile rimetterla in mare, dato il modo come si è incastrata sugli scogli, penetrati profondamente nella carena. Bisogna pertanto demolirla sul posto. Ad ogni modo vedremo il risultato dell’inchiesta e della visita che con molta probabilità verranno eseguite quest’oggi.                                                                                                                                      
Nella grande confusione regnante in Corso Italia e sulla passeggiata davanti alla batteria Vagno, mentre i generosi salvatori dei naufraghi si prodigavano indefessamente, ignoti ladri approfittavano dell’occasione loro offerta. Infatti, alcuni di coloro che per lanciarsi al soccorso dei marinai del Maria Matilde si erano spogliati ed avevano posati i loro abiti sulle banchine, al loro ritorno non ritrovarono più nulla.                                                                           
Uno di essi, il Giuseppe Maina, fu rivestito completamente da due cortesi e generosi signori abitanti poco distante, mentre altri dovettero contentarsi di abiti forniti loro alla sede della P.A. Croce Bianca.
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Il marinaio Domenico De Muro ed il secondo ufficiale macchinista Lorenzo Mazzoli, che furono curati all’ospedale, ci pregano di far conoscere che non si gettarono in mare, come erroneamente dicemmo, per i primi, ma che il De Muro era caduto e che il secondo, terz’ultimo a lasciare il piroscafo era rimasto assiderato per troppo prolungata immersione in acqua.


Un O.d.G. della Società di Salvamento (giovedì 22 aprile 1926)
Il Consiglio della Società Ligure di Salvamento, radunatosi espressamente, apprezzando l’opera di soccorso prestata con vero coraggio e abnegazione mercoledì scorso nella triste contingenza del naufragio del piroscafo Maria Matilde sulla scogliera della Foce, deliberava un voto di plauso a quanti si sono generosamente prodigati nell’opera ardimentosa del salvataggio. Prendeva pertanto buona nota agli effetti del meritato premio, dei seguenti nomi di consoci militi focesi e di volenterosi che si sono maggiormente segnalati facendo onore all’istituzione ed all’industre Foce:

MONTICELLI Ugo, MORANDO Giuseppe, COLOMBINO Tomaso, TARUFFI Vincenzo, RAVASCHIO Giuseppe, DONATI Francesco, SOLARI Romolo, DODERO Ernesto, MAINA Giuseppe, LEVERATO Ercole, MORANDO Abramo, MASNATA Luigi, VIGNA Emilio, DANERI Giacomo, SACHERI Giuseppe, GIORGI Luigi, MASNATA Nicolò, COLOMBINO G.B., BIANCHI Mario, COLOMBINO Michele, ARDUINO Salvatore, TORRE Guglielmo, TORRE Giuseppe, COLOMBINO Domenico, ARRIGONI Ilio, GHIARA Giuseppe, GIORGI Erminio, DONATI Mario, OLIVARI G.B., TORRE Giacomo, TARUFFI Ruggero, SOLARI Aurelio, PINASCO Marco, RISSO Pasquale, GARBARINO Mario, DE CAMILLI Lorenzo, MORANDO Faraone, MORANDO Rosolino, AGENO Luigi, AGENO Pietro, COLOMBINO Giovanni, PIAGGIO Carlo, BECCARI Antonio, DE  NEGRI Antonio, SOLARI Giuseppe, COLOMBINO Emanuele, DE CAMILLI Vittorio, DE CAMILLI Angelo, GARBARINO Angelo, TAMBURINI Augusto, MANGO Carlo oltre ai coniugi POLI Silvio e POLI Rosolina.                                                                             
      E’ opportuno pertanto far constatare pure a malincuore, l’assoluta mancanza di mezzi di pronto soccorso, in casi anche eccezionali come l’ultimo. Non da oggi la Salvamento sostiene la necessità perchè Genova sia dotata d’una buona stazione di soccorso  sul mare, appunto, pei casi di naufragio litoraneo, e per servizio di salvaguardia costiera specie durante i bagni; e all’uopo ha già ideato da quattro anni un progetto ed ottenuta dal benemerito Consorzio portuario la relativa concessione di arenile alla Cava.                                               
Senonché, i fondi adeguati che occorrono, pure invocati, sono pervenuti lenti e scarsi al punto di essere ancora lontani. Eppure il progetto è stato apertamente caldeggiato dalle maggiori autorità eppure da tutti si sente il bisogno d’affrontare in Genova una difesa costiera che ancora manca sull’esteso continente, mentre si sono aperte nuove vie di attività colla stessa navigazione aerea per idroplano appunto da Genova. Ed è un fatto che come provvidamente funzionano ormai dovunque le pubbliche assistenze per gli infortuni di terra, egualmente dovrebbe funzionare il servizio di pubblica assistenza marinara fornito di adatta sede sul mare come è stato progettato, corredato di materiale robusto e rapido a somiglianza delle stazioni francesi, inglesi e americane, così largamente sovvenute dai governi.                   
Sono ormai cinque anni dacché la Salvamento ha creato la pubblica assistenza marinara Volontari di Salvamento, che dovrà dar vita disciplinata all’erigenda stazione alla Cava assolvendo un magnifico compito; e già molto questa Sezione si è segnalata, ieri ancora, coi suoi 700 militi ma il suo degno sviluppo non potrà attenersi che dalla sua vera sede, là sul mare suscitatore di nobili gesta.                                                                                                         
Or non resta che da augurarsi, vogliano la cittadinanza, le autorità, i comandanti e il Governo favorire la geniale impresa per la quale Genova, giustamente Superba avrà il primato anche nel campo del salvataggio. Con questo augurio la Salvamento, che con fervore prepara l’imminente premiazione dei valorosi del mare e dei benemeriti, auspice il Principe Umberto, rinnova ai salvatori della Foce il suo saluto








Da IL LAVORO di martedì 27 aprile 192


                              FATTI E FATTERELLI                                     Echi del disastro del “M.Matilde”
Un ringraziamento dei naufraghi
Riceviamo:                                                                                                                             Sig. Direttore,                                                                                                                                voglia la S.V. permettere che , per tramite del suo diffuso giornale, l’equipaggio tutto del vapore Maria Matilde commosso e grato ringrazi le autorità tutte, l’esercito, la milizia e la cittadinanza per l’affettuoso interessamento preso per la loro sorte.                                              
Uno speciale omaggio di gratitudine porgono agli animosi soci della Società Ligure di Salvamento che furono veramente magnifici nell’opera di soccorso; al Consiglio direttivo ed ai militi della benemerita P.A.Croce Bianca per le cure amorevoli e sapienti loro prodigate.                 Ringraziamenti cordiali porgono a tutti, associazioni e persone, assicurando di aver avuta la sensazione esatta dell’ansia amorosa che palpitava nel cuore di tutti i presenti al drammatico salvataggio.                                                                                                                                   
Grazie tante, signor Direttore, per l’ospitalità e voglia gradire gli ossequi dell’equipaggio.                
Il Comandante del P.fo Maria Matilde                                                                                               
E. AMOROSO

Gli indumenti di un salvatore
Sig. Cronista,                                                                                               
leggo nel n.91 del tuo pregiato giornale alcune righe che mi riguardano.                                      
Può essere benissimo che alcuni generosi salvatori siano rimasti derubati degli abiti mentre si prestavano all’opera di soccorso, ma ti faccio notare che gl’indumenti del sig. Maina Giuseppe sono stati ritirati da me proprio all’ultimo momento quando non rimanevano che in pochi e i militi fascisti facevano sgombrare il pubblico.                                                                
Gl’indumenti da me ritirati, messi da parte e consegnati al custode della casetta delle pompe erano: un cappello cenere chiaro, un maglione viola e una giacca con lutto al braccio. Potei constatare che apparteneva al sig. Maina da un foglio della Ligure Salvamento che aveva in tasca a lui intestato: tutto ciò può attestare anche il sig. Giuseppe Ravaschio.                           
Distinti saluti e prosperità per il giornale.                                                                                           Tuo Enrico Lunati





Una sottoscrizione
Per iniziative del cieco Giovanni Scognamilio venne effettuata una sottoscrizione a favore degli animosi salvatori del Maria Matilde i quali, mentre stavano attendendo all’opera volenterosa, vennero derubati degli indumenti. La somma raccolta fu dal promotore versata a Il Lavoro che verserà a sua volta a coloro per i quali la sottoscrizione è stata iniziata, insieme alle oblazioni che ci pervenissero direttamente.
Scognamilio Giovanni, L.5 – N.N., 2 – Trucco Italo, 5 – Lai, 2 – Mario, 2 – Ferruccio, 1 – A.D., 2 – Ridondelli E., 2 – Casaccia Giacomo, 2 – Sbolci Tito, 3 – Pomeri Paolo, 2 – Giacchino Italia, 1 – Ricci, 2 – Bruzzone, 1 – Zunino, 5 – N.N., 2 – Grimaldi Carlo, 1 – Costigliolo Nino, 5 – N.N., 2 – E.Brutto, 2 – Campi Luigi, 3 – Sematti Fusco, 1 – Moresco,2 – Morello Giacomo, 1,50 – Bazzurro, 1 – Cecarani, 1 – Giggi, 1,20 – Pesce, 2 – Casali, 2 – Dilorenzo, 2 – Marinin, 1 – Nita, 1 – Besagno G., 1 – Bermin, 1 – Baciccia, 1- Felice, 1 – Filidoro Feltri, 2 – N.N., 1 – N.N., 1 – G.V., 1 – Berto, 1 – Pietro, 1 – Quaioglio, 4 – Dughetti Giuseppe, 2 – Babboni Almo, 2 – Bertelli Bernardo, 1 – S.S., 2 – N.N., 2 – Govazza, 2 – Trucco, 2 – Capurro, 1 – Compure, 0,50 – Marietta, 1 – Tirelli, 1 – Fanni, 1 – Calboniere, 1 – Deferari, 2 – Deferari, 0,35 – Dellacasa, 0,50 – Bianchi, 1 – Legarini C., 2 – Traverso, 2 – Figini, 1 – Rogero, 1 – Guido, 1 – Cevasco, 1,50 – Lercari V., 2 – Canevello, 2 – Mula S., 2 – Queiroli G., 2 – Garibaldo, 3 – Ricci P., 2 – Durando Battista, 1 – Olivari Santo, 3 – Nando, 3 – Nanni, 2 – Lenzi Emilio, 2 – N.N., 0,50 – Antonio Bertolini, 2 – Bassi, 1 – Scarrone, 1 – N.N., 1 – Luigi Mangini, 2 – Giggio, 1 – N.N., 1   (Totale Lire  147,05 )

Uno dei salvatori dell’equipaggio percosso brutalmente da tre fratelli
Il salvataggio dei marinai ed ufficiali del piroscafo “Maria Matilde”, incagliatosi il 21 aprile sulle scogliere di corso Italia, se aveva dato luogo a bellissimi atti di coraggio e di abnegazione ha anche provocato litigi e questioni odiose fra coloro che più o meno si erano prodigati nella faticosa opera.                                                                               
Le invidie, i rancori personali, le gelosie, avevano trovato sfogo in tristi episodi che dimostrano come anche in simili casi l’uomo possa dimenticare la sua qualità di persona ragionevole per diventare né più né meno che un essere animato soltanto da istinti brutali.             
Il più grave di questi fatti fu quello di cui rimase vittima il fabbro Giuseppe Ravaschio di Antonio di anni 42, abitante in via della Foce numero 1 interno 1, socio fra i più attivi e volenterosi della Società Ligure di Salvamento che per pure questioni di invidia fu aggredito improvvisamente alla Foce, la stessa sera del 21 aprile dai tre fratelli Morando, giornalieri del Porto, abitanti in via Enrico Cravero.                                                                                        
Costoro gli saltarono addosso e lo percossero con una violenza ed una brutalità inaudite, sì da lasciarlo malconcio a terra.                                                                                                         Rimessosi, il Ravaschio ritornò alla sua abitazione ove fu curato sommariamente da un medico che era stato chiamato dai familiari. Ieri però, sentendo forti dolori al torace, ritenne opportuno recarsi all’ambulatorio di via Balilla, per farsi visitare con più cura.       Quivi il Ravaschio fu ricevuto dal dottor Drago che lo trovò molto malconcio. Gli riscontrò infatti una contusione alla regione mammaria destra con vasta ecchimosi, la frattura della quinta e sesta costola, ferite lacero contuse alla fronte e contusioni alla faccia esterna guaribili in un mese. Ritornò quindi alla sua abitazione.                                                                
Del fatto è stata informata l’autorità, che prenderà le disposizioni del caso.
BAUER




Ringrazio sentitamente il mio amico Comandante Virgilio BOZZO per il valido aiuto prestatomi nella ricerca della documentazione relativa al disastro del piroscafo “Maria Matilde”

1 commento:

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