Francesco Boero
Da
IL LAVORO di venerdì 23 aprile 1926
L’incagliamento
del piroscafo “Maria Matilde” dinnanzi a Corso Italia
Il mare
tempestoso, le raffiche di libeccio ed un grave guasto al timone cambiano rotta
alla nave appena uscita dal porto e la mandano ad incagliarsi sulle scogliere
della batteria di Vagno.
Il faticosissimo e pericoloso salvataggio dei
31 uomini di equipaggio. Magnifici atti di valore. Quattro feriti all’Ospedale
ed una trentina di contusi ed assiderati
Il tempo disastroso di questi giorni,
con la violentissima libecciata di mercoledì, ha provocato un grave disastro
marittimo che fortunatamente non ha avuto conseguenze letali per gli uomini di
equipaggio del piroscafo sinistrato.
Nella mattinata di mercoledì alle ore 9.30, il piroscafo “Maria Matilde”
della società Anonima Vapori e Carboni (sede in Genova,
piazza Grimaldi 1), partiva dal nostro porto diretto a Gibilterra per
ricevere ordini. Non appena il vapore ebbe superato l’avamporto e fu entrato
nel mare libero, la violenza delle onde lo fece lavorare subito faticosamente,
poiché, vuoto com’era, prese a rullare e a beccheggiare con gran disordine. Ad
un certo punto il “Maria Matilde”, che per superare le onde altissime, andava
avanti a tutto vapore, prese a non obbedire più al timone che doveva farlo
virare a destra onde far rotta verso
largo.
largo.
Notato il fatto, il comandante del piroscafo, Eugenio Amoroso, abitante
in via Carlo Barabino 13-7, (non risulta diplomato al
Nautico S.Giorgio di Genova) e ritenendo fosse dovuto alle correnti che
facevano gran forza sul bastimento vuoto, comandò si aumentasse ancora lo
sforzo delle macchine e di manovrare in modo da rivolgere la prua alle onde.
Un primo
tentativo
La manovra però non si poté
eseguire, il “Maria Matilde”, sballottato come un guscio di noce dal mare
tempestoso, non sentiva l’azione del timone, e nemmeno quella delle eliche e
continuava a presentare il fianco alle onde. Poiché non si riusciva a far virare
il piroscafo, il comandante pensò di gettare le ancore, dato che si presentava
anche il pericolo di andare ad incagliarsi sulle scogliere.
Ma nemmeno questo si poteva fare; infatti, per compier la manovra
sarebbe stato necessario fermar le macchine e lasciare il vapore in completa
balia delle onde che avrebbero potuto molto facilmente lasciarlo sugli scogli
prima che le ancore avessero fatto presa sul fondo.
Non rimaneva perciò altro che
tentare ancora di raddrizzar la rotta. A tal uopo si gettò in mare soltanto
l’ancora di destra che facendo discreta presa sul fondo permise di virare
alquanto verso il largo. Per un poco parve tutto andasse bene, quando la
violenza delle onde riportò nuovamente il piroscafo nella critica posizione di
prima.
A questo punto si era giunti all’altezza della Foce, il comandante
Amoroso, visto che era inutile ogni manovra, decise di ritornare in porto.
Impartì gli ordini opportuni, e fece gettare nuovamente l’ancora di destra per
far virare di bordo, quando accadde un gravissimo incidente, appunto quello che
provocò il sinistro.
Il guasto al timone
Per
far compiere la manovra al piroscafo, il timone era stato portato tutto verso
destra; ciò naturalmente sottoponeva a grandissimo sforzo i tiranti di comando.
E fu per questo sforzo che durante la manovra alcuni marinai si accorgevano che
si era spezzata una delle catene che agiscono sui tiranti. La gravità
dell’incidente fu compresa immediatamente dall’equipaggio. Si tentò, per quanto
con la certezza di non riuscire, di riparare alla meglio con dei cavi manovrati
da paranchi, ma il timone non rispondeva più. Anche i tentativi di riallacciare
la catena spezzata furono completamente inutili.
Il mare era sempre in furia, ed il “Maria Matilde” si trovò in tal modo,
non più governato, nella più insostenibile situazione.
Non v’era
altro da fare che chiamar aiuto e cercar di tenersi al largo più che era
possibile. Le sirene di bordo lanciarono così i quattro acutissimi segnali di
soccorso, e nel frattempo, in attesa che sopraggiungesse qualche rimorchiatore,
il comandante fece eseguire tutte le manovre migliori per resistere alla forza
delle onde.
Le criticissime condizioni del piroscafo erano state avvertite da terra.
Sulla rotonda di via Corsica specialmente e sulla Circonvallazione a mare gran
folla si ammassò poco a poco, seguendo con ansia febbrile tutti i movimenti del
“Maria Matilde” che appariva chiaramente in pericolo.
Quando
poi furono lanciati i laceranti urli della sirene, e si videro innalzare ai
pennoni le bandierine di segnalazione, si produsse nella folla un vero senso di
angoscia.
Verso il
disastro
Per
oltre mezz’ora si vide il piroscafo lottare con l’immane forza del mare, che
lentissimamente, ma inesorabilmente, lo spingeva verso riva.
Il bastimento procedeva in linea obliqua verso terra, e dalla Foce venne
spinto nella direzione di San Giuliano. Da tutto Corso Italia e dalle altre
località dominanti il mare si seguiva con grande ansia il piroscafo che
appariva sempre più pericolante, ed alcuni pescatori pensarono anche di correre
al soccorso con delle imbarcazioni, cosa però impossibile per la violenza della
risacca intorno ai fianchi della “Maria Matilde”.
Intanto
sopraggiunsero dal porto due grossi rimorchiatori inviati dalla Capitaneria
sotto gli ordini del comandante Mango, ma nulla poterono fare. Anche per le due
barcaccie era impossibile avvicinarsi alla nave senza gravissimo pericolo di
venir soverchiate dalle onde frangentesi, e ciò specialmente per la grande
vicinanza alla riva. I rimorchiatori pertanto, dopo aver sostato pochi minuti in
mare e aver tentato, inutilmente, qualche manovra per l’abbordaggio, tornarono
indietro.
Il “Maria Matilde” era così
inesorabilmente perduto e all’equipaggio non restava da fare altro che cercare
di render meno grave il disastro che si attendeva da un momento all’altro. Il
comandante Amoroso, che con perfetto sangue freddo aveva fatto tutto il
possibile per il suo piroscafo, tentò di spingere la nave verso la punta del
forte di San Giuliano, in modo da superarla e trovare nella spiaggia di San
Nazaro un fondo più adatto a calar le ancore.
L’incagliamento
La manovra
riuscì in parte. Giunta che fu la nave davanti al forte, si calò un’ancora di
prua, ma non era stato ancor raggiunto il fondo che una raffica violentissima
ed alcune successive ondate gigantesche voltarono e sollevarono la nave
portandola, di fianco, sulle scogliere prospicienti il forte, dove si incagliò
a circa venticinque metri dalla riva. All’urto, alcuni uomini dell’equipaggio
stramazzarono a terra, ma fortunatamente non si ebbe alcuna grave conseguenza.
Erano le 10.25. Lo scroscio prodotto dallo strisciamento della carena
della nave sugli scogli e uno scricchiolio pauroso impressionarono enormemente
coloro che, impotenti, vi avevano assistito. Si organizzarono allora
febbrilmente le opere di soccorso.
A bordo del piroscafo si trovavano 31 uomini, tra equipaggi e ufficiali,
e ad essi bisognava pensare. Le ondate violentissime, cozzando contro i
fianchi, avvolgevano tutto il bastimento in una nuvola di acqua, e facevano
anche seriamente pensare alla sua stabilità.
Mentre una Guardia di
finanza avvertiva il proprio comando, e dalla Capitaneria di bordo partivano il
capitano Villa ed il maresciallo Mazzei, i pescatori e gli uomini di mare delle
vicinanze organizzavano i soccorsi per loro conto.
Dal
bordo della “Maria Matilde” un uomo lanciò un salvagente legato ad una corda
sperando di mandarlo a terra, ma esso cadde in mare. Un secondo salvagente subì
la stessa sorte.
Gli eroismi
E
fu a questo punto che si ebbe il primo ed il più grande di una serie di atti di
eroismo che stanno ad indicare quale sia il valore della nostra gente di mare.
A terra regnava una grande confusione fra tutti i volenterosi che
cercavano di correre all’aiuto. Prese allora la direzione dei soccorsi il
bagnino Giuseppe Ravaschio che dispose ciò che si doveva fare. Attese il
momento opportuno, cioè quando il piroscafo si fu stabilizzato sugli scogli e,
deciso che bisognava portare i soccorsi dalla terra alla nave, e non viceversa,
diede le istruzioni necessarie ad un valoroso giovane.
Questi, un socio della Società Ligure di Salvamento, l’impiegato Ugo
Monticelli di Enrico, di anni 19, abitante in via Casaregis numero 6 interno 3,
visto che era impossibile far arrivare un salvagente a terra, ne gettò egli uno
in mare, legato con una corda che veniva tenuta dalla riva, e, spogliatosi, si
tuffò in acqua. Lo raggiunse incurante della violenza delle onde e dei
frangenti che minacciavano ad ogni momento di sbatterlo sugli scogli, e a
potenti bracciate si portò fin sotto il piroscafo.
Gli venne subito lanciata da bordo una corda con cui egli legò il
salvagente, ed un’altra ancora, più grossa, che attaccò anche all’anello di
sughero.
Venne
così formata una specie di teleferica che permise a tutto l’equipaggio del
piroscafo di raggiungere la terra.
Il salvagente venne sfilato da bordo e dalla riva, ed il signor
Monticelli tornò così all’asciutto traendosi dietro anche la fune più grossa.
Questa, che era stata assicurata al “Maria Matilde”, venne legata, ben tesa, a
terra, e su essa si fece scorrere il salvagente, tirato alternativamente da
bordo e dai pescatori e bagnini che erano accorsi in gran numero sul posto. Il
Monticelli, tese che furono le corde, si gettò nuovamente in mare per aiutare i
naufraghi. Per primo si era tuffato un marinaio che per la violenza delle onde
non riusciva a tenersi bene il salvagente, sicché accorse in suo aiuto il
Monticelli che lo condusse sano e salvo a terra.
Un salvataggio
laborioso
Secondo a
gettarsi in mare dal piroscafo fu un negro eritreo, il fuochista Abdulla Azebà,
di anni 48, nato a Massaua, che preso da panico, corse in coperta e, noncurante
degli ordini dati dagli ufficiali i quali avevano stabilito un turno per il
salvataggio onde non ingenerare confusioni dannose, si calò in acqua per una
corda, e prese a nuotare per raggiunger terra.
Il tentativo era però pazzesco,
ed il moro stava per annegare. Fu visto scomparire sotto le onde, riapparire
nuovamente, poi ancora affondare, e sarebbe certo affogato miseramente se non
fossero accorsi in suo aiuto, mettendo a grave rischio la propria vita, altri
valorosi.
Il
Monticelli, che era già risalito a terra, non appena ebbe visto il moro in
pericolo, si fece largo e si gettò subito in suo soccorso. Lo raggiunse, lo
afferrò e lo portò fin su uno scoglio. Qui, un colpo di mare strappò il
salvatore dallo scoglio e lo sbattè contro la riva. Intanto si erano tuffati
anche altri: il bagnino Giuseppe Maina fu Alessandro, abitante in piazza Cavour
15, il fuochista Ernesto Dodero di Andrea, di 32 anni, abitante in via Della
Casa, che raggiunsero il moro nel momento in cui un’ondata stava per soverchiarlo.
Lo afferrarono solidamente e, a grandissimo stento, riuscirono a portarlo,
insieme con il carpentiere Nicolò Masnata di Luigi, di anni 28, abitante in via
Fogliensi 12-7, fin sotto la banchina ove fu issato a braccia da altri. Intanto,
era iniziato il passaggio degli uomini del Maria
Matilde a mezzo del salvagente che, per maggior sicurezza, era stato unito
alla fune portante più grossa mediante una specie di puleggia. Anche qui però
successero degli incidenti.
Un marinaio che da poppa si stava calando con una corda per raggiungere
il salvagente, ad un certo punto, mancategli le forze, cadde in mare e si trovò
sballottato nella risacca. In suo soccorso si gettò il pescatore Francesco
Donati che lo portò a salvamento fin sugli scogli ove si trovava pronto a
ricevere ambedue il carpentiere Luigi Masnata di 56 anni, padre di Nicolò.
Ancora un altro incidente si ebbe quando il salvagente si intoppò in un
nodo della fune mentre vi era attaccato un marinaio. Bisognò che il Ravaschio
si gettasse in acqua e andasse a liberare il salvagente e a rimettere a posto
tutto.
Tutti salvi
E così , uno per
uno, tutti i componenti l’equipaggio raggiunsero terra. Ultimo il comandante
Amoroso, che era riuscito a salvare le carte ed i valori di bordo, e che volle
anche passar la notte vicino al suo piroscafo. A tal uopo fu alloggiato nella
Batteria del Forte Vagno.
A terra si trovava gran quantità di barelle e di militi di tutte le
pubbliche assistenze, nessuna eccettuata. Tutti i salvati, intirizziti dal
freddo, furono prontamente trasportati nella vicina sede della Croce Bianca ove
vennero curati e rifocillati con viveri e bevande.
Ecco un elenco
dei ricoverati nella Società di pubblica assistenza: Donato Balenti, Francesco
Vellani, Andrea Volpi, Lorenzo Nebbia, Vittorio Comai, Raffaele Conigliano,
Vincenzo Cancelleri, Pietro Ricci, Luigi Mulazzani, Giovanni Pilone, Antonio
Zunino, Gira Borello, Giuseppe Musimeci, Antonio Poddighe, Aniello Palmieri,
Salvatore Finocchiaro, Emanuele Imperiale, Mario Salvatore Mesti, Giacinto
Giulchini, Raffaello Caltabiano, Carlo Teota Oltre a costoro che ricevettero
cure dalla Croce bianca, tre uomini dell’equipaggio del Maria Matilde, quelli che si erano gettati in mare per primi,
furono trasportati all’ospedale avendo riportato contusioni e ferite più o meno
gravi. Ecco i referti rilasciati per essi dai medici Migone e Fresco.: Domenico De Muro di Stefano, di anni 29, di S. Teresa di Gallura
(SS) qui dimorante in via Federico Alizeri 9 rosso, marinaio; assideramento e contusione al ginocchio
destro, guaribile in12 giorni;
-Azebà Abdalla, di anni 48, da
Massaua, fuochista; assideramento, contusioni ed escoriazioni multiple agli
arti inferiori e superiori ed al torace; prognosi riservata;
- Lorenzo Mazzali di Evangelista,
d’anni 31 da Bra (Cuneo) e residente alla Certosa in via G. Verdi 3-7, secondo
ufficiale macchinista; assideramento; prognosi riservata
Le autorità sul posto
La
notizia del doloroso naufragio veniva comunicata verso le ore 11 alle autorità
cittadine che trovavansi riunite alla cerimonia celebrativa al Politeama
Genovese e subito, avendo proprio in quel momento avuto fine la manifestazione,
su veloci automobili si portavano sul luogo a presenziare all’opera di
salvamento, il Prefetto Grand’uff.
Bocchini; l’on. Broccardi, commissario al Comune, col prof. comm. Monleone;
S.E. l’Ammiraglio Cagni; il cav.uff.De Felice, capo di Gabinetto del Prefetto;
il Comandante in seconda del Porto, capitano Ascoli, il generale Vernè,
comandante la III Zona della M.V.S.N., coll’aiutante seniore Macellari ed il
suo capo di Stato Maggiore console Colantuoni; il centurione Giani, aiutante
maggiore della 31° Legione M.V.S.N..
Sul
posto, subito dopo il sinistro, erano anche accorse, coadiuvando efficacemente
al salvataggio ed al servizio d’ordine, la Centuria Ciclistica della 31°
Legione al comando del C° manipolo Zerega e la 7° Centuria al comando del
Centurione Rabagliati.
Superiore ad ogni elogio fu l’opera di soccorso e di assistenza prestata
ai naufraghi dalla benemerita P.A. Croce Bianca. Dall’umile milite ai
componenti il Consiglio direttivo tutti gareggiarono in nobiltà di slancio
nell’assistenza agli sventurati che, giunti mezzo assiderati e completamente
nudi alla loro sede, dopo le cure del caso, furono ricoverati nella sala del
dormitorio, nei letti e su alcune barelle, ricoperti con grosse coperte di lana
e ristorati con brodo caldo e caffè, con altre bevande e con pietanze.
Durante l’opera di salvataggio all’esercente in calzature Gastone
Cianchi di anni 30 da Firenze avvenne una lieve disgrazia. Egli stava
discendendo su uno scoglio per soccorrere un naufrago che non riusciva ad
arrampicarvisi quando scivolò e cadde dall’altezza di circa sei metri. Raccolto
dai militi della Croce Rosa di Rivarolo fu trasportato all’ambulatorio di via
San Giuseppe ove il dott. Migone gli riscontrò una distorsione al ginocchio
destro guaribile in dieci giorni.
Dei tre marinai feriti il Mazzoli e il De Muro ritornarono ieri mattina
alle loro abitazioni, mentre il moro fu trattenuto perché in condizioni più
gravi.
L’opera di soccorso prestata dai bravi pescatori, marinai, bagnini,
operai, ecc. accorsi sul posto fu superiore ad ogni elogio. Citiamo pertanto i
nomi di alcuni di costoro che sono degni di essere additati all’ammirazione dei
cittadini.
Oltre ai già nominati MASNATA padre
e figlio, MONTICELLI, RAVASCHIO, MAINA, DODERO, DONATI, si sono particolarmente
prestati: Giuseppe MORANDO, scaricatore; Ercole LEVERATO; Tommaso COLOMBINO;
Abramo MORANDO; che stettero in acqua a raccogliere i marinai.
Sono da nominare ancora: Giacomo CARROZZINO; Romolo SOLARI; Giuseppe SACHERI;
Giacomo DENARO; Luigi ed Erminio GIORGI; Giuseppe GHIARA; Vincenzo e Giuseppe
TARUFFI; G.B. OLIVARI; Carlo PIAGGIO, ed altri.
I
danni
Dato lo stato
del mare, per cui nessuno ha ancora potuto metter piede sul piroscafo, non è
possibile precisare i danni riportati nell’incagliamento. A quel che si può
giudicare, è da ritenersi che la carena sia sfondata in qualche punto. Ma altro
non si può dire, e bisogna attendere un sopralluogo di tecnici. Il
“Maria Matilde” era stato costruito e varato a Glasgow nel 1894 col nome di
“Eleonora”. Ecco le sue caratteristiche tecniche: stazza tonn.3722 lorde e
tonn.2391 nette, portata circa 5300 tonnellate di carico, lunghezza 109 metri,
larghezza m.13,50, Potenza della macchina 1450 cavalli effettivi.
Da
IL LAVORO di sabato 24 aprile 1926
Il disastro del “Maria
Matilde”
Il piroscafo
dovrà essere demolito sullo stesso posto dell’incagliamento
Il fatto che non è ancora stata iniziata
l’inchiesta ordinata dal comandante in seconda del Porto non ha ancora permesso
ad alcuno di salire a bordo del piroscafo Maria
Matilde sempre incagliato sugli scogli della batteria Vagno.
Anche
senza fare una visita minuziosa alla nave, si è potuto peraltro stabilire che
non sarà assolutamente possibile rimetterla in mare, dato il modo come si è
incastrata sugli scogli, penetrati profondamente nella carena. Bisogna pertanto
demolirla sul posto. Ad ogni modo vedremo il risultato dell’inchiesta e della
visita che con molta probabilità verranno eseguite quest’oggi.
Nella
grande confusione regnante in Corso Italia e sulla passeggiata davanti alla
batteria Vagno, mentre i generosi salvatori dei naufraghi si prodigavano
indefessamente, ignoti ladri approfittavano dell’occasione loro offerta.
Infatti, alcuni di coloro che per lanciarsi al soccorso dei marinai del Maria Matilde si erano spogliati ed
avevano posati i loro abiti sulle banchine, al loro ritorno non ritrovarono più
nulla.
Uno di essi, il Giuseppe Maina, fu rivestito completamente da due
cortesi e generosi signori abitanti poco distante, mentre altri dovettero
contentarsi di abiti forniti loro alla sede della P.A. Croce Bianca.
0000
Il marinaio Domenico De Muro ed il
secondo ufficiale macchinista Lorenzo Mazzoli, che furono curati all’ospedale,
ci pregano di far conoscere che non si gettarono in mare, come erroneamente
dicemmo, per i primi, ma che il De Muro era caduto e che il secondo,
terz’ultimo a lasciare il piroscafo era rimasto assiderato per troppo
prolungata immersione in acqua.
Un O.d.G. della Società di Salvamento (giovedì
22 aprile 1926)
Il Consiglio della Società Ligure di
Salvamento, radunatosi espressamente, apprezzando l’opera di soccorso prestata
con vero coraggio e abnegazione mercoledì scorso nella triste contingenza del
naufragio del piroscafo Maria Matilde
sulla scogliera della Foce, deliberava un voto di plauso a quanti si sono generosamente
prodigati nell’opera ardimentosa del salvataggio. Prendeva pertanto buona nota
agli effetti del meritato premio, dei seguenti nomi di consoci militi focesi e
di volenterosi che si sono maggiormente segnalati facendo onore all’istituzione
ed all’industre Foce:
MONTICELLI Ugo, MORANDO Giuseppe, COLOMBINO
Tomaso, TARUFFI Vincenzo, RAVASCHIO Giuseppe, DONATI Francesco, SOLARI Romolo,
DODERO Ernesto, MAINA Giuseppe, LEVERATO Ercole, MORANDO Abramo, MASNATA Luigi,
VIGNA Emilio, DANERI Giacomo, SACHERI Giuseppe, GIORGI Luigi, MASNATA Nicolò, COLOMBINO
G.B., BIANCHI Mario, COLOMBINO Michele, ARDUINO Salvatore, TORRE Guglielmo, TORRE
Giuseppe, COLOMBINO Domenico, ARRIGONI Ilio, GHIARA Giuseppe, GIORGI Erminio, DONATI
Mario, OLIVARI G.B., TORRE Giacomo, TARUFFI Ruggero, SOLARI Aurelio, PINASCO
Marco, RISSO Pasquale, GARBARINO Mario, DE CAMILLI Lorenzo, MORANDO Faraone, MORANDO
Rosolino, AGENO Luigi, AGENO Pietro, COLOMBINO Giovanni, PIAGGIO Carlo, BECCARI
Antonio, DE NEGRI Antonio, SOLARI
Giuseppe, COLOMBINO Emanuele, DE CAMILLI Vittorio, DE CAMILLI Angelo, GARBARINO
Angelo, TAMBURINI Augusto, MANGO Carlo oltre ai coniugi POLI Silvio e POLI
Rosolina.
E’ opportuno
pertanto far constatare pure a malincuore, l’assoluta mancanza di mezzi di
pronto soccorso, in casi anche eccezionali come l’ultimo. Non da oggi la
Salvamento sostiene la necessità perchè Genova sia dotata d’una buona stazione
di soccorso sul mare, appunto, pei casi
di naufragio litoraneo, e per servizio di salvaguardia costiera specie durante
i bagni; e all’uopo ha già ideato da quattro anni un progetto ed ottenuta dal
benemerito Consorzio portuario la relativa concessione di arenile alla Cava.
Senonché,
i fondi adeguati che occorrono, pure invocati, sono pervenuti lenti e scarsi al
punto di essere ancora lontani. Eppure il progetto è stato apertamente
caldeggiato dalle maggiori autorità eppure da tutti si sente il bisogno
d’affrontare in Genova una difesa costiera che ancora manca sull’esteso
continente, mentre si sono aperte nuove vie di attività colla stessa
navigazione aerea per idroplano appunto da Genova. Ed è un fatto che come
provvidamente funzionano ormai dovunque le pubbliche assistenze per gli
infortuni di terra, egualmente dovrebbe funzionare il servizio di pubblica
assistenza marinara fornito di adatta sede sul mare come è stato progettato,
corredato di materiale robusto e rapido a somiglianza delle stazioni francesi,
inglesi e americane, così largamente sovvenute dai governi.
Sono ormai cinque anni
dacché la Salvamento ha creato la pubblica assistenza marinara Volontari di
Salvamento, che dovrà dar vita disciplinata all’erigenda stazione alla Cava
assolvendo un magnifico compito; e già molto questa Sezione si è segnalata,
ieri ancora, coi suoi 700 militi ma il suo degno sviluppo non potrà attenersi
che dalla sua vera sede, là sul mare suscitatore di nobili gesta.
Or
non resta che da augurarsi, vogliano la cittadinanza, le autorità, i comandanti
e il Governo favorire la geniale impresa per la quale Genova, giustamente
Superba avrà il primato anche nel campo del salvataggio. Con questo augurio la
Salvamento, che con fervore prepara l’imminente premiazione dei valorosi del
mare e dei benemeriti, auspice il Principe Umberto, rinnova ai salvatori della
Foce il suo saluto
FATTI E FATTERELLI Echi del disastro del “M.Matilde”
FATTI E FATTERELLI Echi del disastro del “M.Matilde”
Un ringraziamento dei naufraghi
Riceviamo:
Sig. Direttore,
voglia la S.V.
permettere che , per tramite del suo diffuso giornale, l’equipaggio tutto del
vapore Maria Matilde commosso e grato
ringrazi le autorità tutte, l’esercito, la milizia e la cittadinanza per
l’affettuoso interessamento preso per la loro sorte.
Uno speciale omaggio di gratitudine porgono agli animosi soci della Società Ligure di Salvamento che furono veramente magnifici nell’opera di soccorso; al Consiglio direttivo ed ai militi della benemerita P.A.Croce Bianca per le cure amorevoli e sapienti loro prodigate. Ringraziamenti cordiali porgono a tutti, associazioni e persone, assicurando di aver avuta la sensazione esatta dell’ansia amorosa che palpitava nel cuore di tutti i presenti al drammatico salvataggio.
Grazie tante, signor Direttore, per l’ospitalità e voglia gradire gli ossequi dell’equipaggio.
Il Comandante del P.fo Maria Matilde
E. AMOROSO
Uno speciale omaggio di gratitudine porgono agli animosi soci della Società Ligure di Salvamento che furono veramente magnifici nell’opera di soccorso; al Consiglio direttivo ed ai militi della benemerita P.A.Croce Bianca per le cure amorevoli e sapienti loro prodigate. Ringraziamenti cordiali porgono a tutti, associazioni e persone, assicurando di aver avuta la sensazione esatta dell’ansia amorosa che palpitava nel cuore di tutti i presenti al drammatico salvataggio.
Grazie tante, signor Direttore, per l’ospitalità e voglia gradire gli ossequi dell’equipaggio.
Il Comandante del P.fo Maria Matilde
E. AMOROSO
Gli indumenti di un salvatore
Sig. Cronista,
leggo
nel n.91 del tuo pregiato giornale alcune righe che mi riguardano.
Può
essere benissimo che alcuni generosi salvatori siano rimasti derubati degli
abiti mentre si prestavano all’opera di soccorso, ma ti faccio notare che
gl’indumenti del sig. Maina Giuseppe sono stati ritirati da me proprio
all’ultimo momento quando non rimanevano che in pochi e i militi fascisti
facevano sgombrare il pubblico.
Gl’indumenti da me ritirati, messi da parte e consegnati al custode
della casetta delle pompe erano: un cappello cenere chiaro, un maglione viola e
una giacca con lutto al braccio. Potei constatare che apparteneva al sig. Maina
da un foglio della Ligure Salvamento che aveva in tasca a lui intestato: tutto
ciò può attestare anche il sig. Giuseppe Ravaschio.
Distinti saluti e
prosperità per il giornale. Tuo
Enrico Lunati
Una sottoscrizione
Per iniziative del cieco Giovanni
Scognamilio venne effettuata una sottoscrizione a favore degli animosi
salvatori del Maria Matilde i quali,
mentre stavano attendendo all’opera volenterosa, vennero derubati degli
indumenti. La somma raccolta fu dal promotore versata a Il Lavoro che verserà a
sua volta a coloro per i quali la sottoscrizione è stata iniziata, insieme alle
oblazioni che ci pervenissero direttamente.
Scognamilio Giovanni, L.5 – N.N., 2 –
Trucco Italo, 5 – Lai, 2 – Mario, 2 – Ferruccio, 1 – A.D., 2 – Ridondelli E., 2
– Casaccia Giacomo, 2 – Sbolci Tito, 3 – Pomeri Paolo, 2 – Giacchino Italia, 1
– Ricci, 2 – Bruzzone, 1 – Zunino, 5 – N.N., 2 – Grimaldi Carlo, 1 –
Costigliolo Nino, 5 – N.N., 2 – E.Brutto, 2 – Campi Luigi, 3 – Sematti Fusco, 1
– Moresco,2 – Morello Giacomo, 1,50 – Bazzurro, 1 – Cecarani, 1 – Giggi, 1,20 –
Pesce, 2 – Casali, 2 – Dilorenzo, 2 – Marinin, 1 – Nita, 1 – Besagno G., 1 –
Bermin, 1 – Baciccia, 1- Felice, 1 – Filidoro Feltri, 2 – N.N., 1 – N.N., 1 –
G.V., 1 – Berto, 1 – Pietro, 1 – Quaioglio, 4 – Dughetti Giuseppe, 2 – Babboni
Almo, 2 – Bertelli Bernardo, 1 – S.S., 2 – N.N., 2 – Govazza, 2 – Trucco, 2 – Capurro,
1 – Compure, 0,50 – Marietta, 1 – Tirelli, 1 – Fanni, 1 – Calboniere, 1 –
Deferari, 2 – Deferari, 0,35 – Dellacasa, 0,50 – Bianchi, 1 – Legarini C., 2 –
Traverso, 2 – Figini, 1 – Rogero, 1 – Guido, 1 – Cevasco, 1,50 – Lercari V., 2
– Canevello, 2 – Mula S., 2 – Queiroli G., 2 – Garibaldo, 3 – Ricci P., 2 –
Durando Battista, 1 – Olivari Santo, 3 – Nando, 3 – Nanni, 2 – Lenzi Emilio, 2
– N.N., 0,50 – Antonio Bertolini, 2 – Bassi, 1 – Scarrone, 1 – N.N., 1 – Luigi
Mangini, 2 – Giggio, 1 – N.N., 1 (Totale Lire 147,05 )
Uno dei salvatori dell’equipaggio
percosso brutalmente da tre fratelli
Il salvataggio dei marinai ed ufficiali
del piroscafo “Maria Matilde”, incagliatosi il 21 aprile sulle scogliere di
corso Italia, se aveva dato luogo a bellissimi atti di coraggio e di
abnegazione ha anche provocato litigi e questioni odiose fra coloro che più o
meno si erano prodigati nella faticosa opera.
Le
invidie, i rancori personali, le gelosie, avevano trovato sfogo in tristi
episodi che dimostrano come anche in simili casi l’uomo possa dimenticare la
sua qualità di persona ragionevole per diventare né più né meno che un essere
animato soltanto da istinti brutali.
Il più grave di questi fatti fu quello di cui rimase vittima il fabbro
Giuseppe Ravaschio di Antonio di anni 42, abitante in via della Foce numero 1
interno 1, socio fra i più attivi e volenterosi della Società Ligure di
Salvamento che per pure questioni di invidia fu aggredito improvvisamente alla
Foce, la stessa sera del 21 aprile dai tre fratelli Morando, giornalieri del
Porto, abitanti in via Enrico Cravero.
Costoro gli saltarono
addosso e lo percossero con una violenza ed una brutalità inaudite, sì da
lasciarlo malconcio a terra.
Rimessosi, il Ravaschio ritornò alla sua abitazione ove fu curato
sommariamente da un medico che era stato chiamato dai familiari. Ieri però,
sentendo forti dolori al torace, ritenne opportuno recarsi all’ambulatorio di
via Balilla, per farsi visitare con più cura. Quivi il Ravaschio fu
ricevuto dal dottor Drago che lo trovò molto malconcio. Gli riscontrò infatti
una contusione alla regione mammaria destra con vasta ecchimosi, la frattura
della quinta e sesta costola, ferite lacero contuse alla fronte e contusioni
alla faccia esterna guaribili in un mese. Ritornò quindi alla sua
abitazione.
Del fatto è stata informata l’autorità, che prenderà le disposizioni del
caso.
Ringrazio sentitamente il mio
amico Comandante Virgilio BOZZO per il valido aiuto prestatomi nella ricerca
della documentazione relativa al disastro del piroscafo “Maria Matilde”
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