venerdì 10 aprile 2020

GLI ORTI DELLA FOCE


Edoardo Maragliano

Osservando alcune stampe di Genova (per esempio quella del Baratta) e portando lo sguardo a Levante oltre il Bisagno, ciò che ci salta subito agli occhi è l’ampio spiazzo quadrato circondato da muri (il Lazzaretto) e lo scoscendimento della collina che, digradando dolcemente, va a lambirlo.
Questo lembo della collina divide lo spazio in una parte affacciata al mare e, verso Nord, un’altra coltivata ad orti.
Tutto ciò rappresenta l’antico paese della Foce che, proprio per la sua conformazione, è stato popolato tanto da pescatori che da ortolani, i cosiddetti Bisagnini.
Dalle mappe della Foce della prima metà dell’Ottocento, possiamo constatare che, mentre le case dei pescatori sul mare sono raggruppate tanto da formare un piccolo borgo, quelle abitate dagli ortolani al di là della collina sono sparse nella campagna e dislocate sul percorso di una rete di viottoli. Di tutti questi viottoli oggi è rimasta traccia di uno solo, rappresentata dai vari tratti d’una via che di volta in volta è Via Lorenzo Pareto che idealmente si può congiungere con Passo Pareto che a sua volta, con l’immaginazione, deve essere collegata con Vicolo Chiuso Pareto. Quest’ultimo troncone lo si può imboccare da Via Finocchiaro Aprile e, se lo si percorre nel breve tratto ancora esistente, si possono ancora vedere le antiche case dei bisagnini della Foce.
Gli orti della Foce rappresentano l’ultimo tratto della piana del Bisagno che, come noto, è una pianura alluvionale. Durante le alluvioni il Bisagno straripava e, non incontrando ostacoli, si espandeva per ogni dove, lasciando, quando si ritraeva, uno strato benefico di limo che andava a fertilizzare gli orti, e ciò costituiva un gran vantaggio per i bisagnini. Un altro grosso vantaggio era la ricchezza delle acque sotterranee che venivano attinte con i congegni detti ‘cicogne’. Esse erano in uso già da tempi immemorabili: noi le possiamo vedere raffigurate per esempio nella stampa di Alessandro Baratta del 1637.
Non si sa quando i bisagnini si insediarono in questa piana: certamente i loro ortaggi divennero sempre più richiesti con l’’espandersi di Genova, per cui si può pensare che il loro numero sia cresciuto moltissimo dopo la costruzione delle mura del Seicento.
I bisagnini col passare del tempo divennero sempre più esperti nella loro arte tanto da divenire rinomati non solo in tutta Genova, ma anche nelle Riviere. A Genova, poi, anche oggi un qualsiasi fruttivendolo viene chiamato ‘besagnin’ per antonomasia.
I bisagnini ovviamente coltivavano qualsiasi tipo di ortaggio, ma quelli di cui andavano più orgogliosi erano i carciofi (il famoso carciofo spinoso violetto) e gli asparagi (l’asparago viola).
È interessante conoscere anche come i bisagnini della Foce commerciassero i frutti dei loro orti. All’alba di ogni mattina, sia con carretti a mano sia con carri trainati da muli, entravano nella città e si distribuivano nelle varie piazze ove si teneva mercato. Per entrare in città, dopo aver attraversato il Ponte Pila, oltrepassavano la Porta omonima (esiste tutt’ora e là si può vedere sopra la stazione Brignole) per giungere alla Porta degli Archi da cui si sparpagliavano in tutta la città.
Oggi sia gli orti della Foce che quelli di tutta la piana del Bisagno sono scomparsi in quanto, al loro posto, sono stati edificati i palazzi del piano regolatore di ampliamento del 1877.
A mano a mano che l’orto veniva occupato da una nuova costruzione, il bisagnino era costretto ad emigrare in altre località dove poteva continuare ad esercitare la propria attività. La località preferita dalla maggior parte dei bisagnini è stata Albenga, dove v’è una piana dalle caratteristiche molto simili a quella del Bisagno.
Ad Albenga i nostri bisagnini vi esportarono la loro arte ed esperienza. A questo proposito sono a disposizione numerose testimonianze orali di ortolani di Albenga che affermano che i loro nonni erano dei bisagnini.