giovedì 16 luglio 2020

UNA RIBOTTA FINITA MALE: BULLI E PUPE ALLA FOCE



Pierre Tetar Van Elven (1828-1908), La partenza dei Mille, Genova, Museo del Risorgimento

Maria Rosa Acri Borello

L’attività più antica degli abitanti della Foce, fin dai tempi in cui essi vivevano in misere capanne di legno con il tetto di paglia, fu quella della pescatoria (o, alla latina piscatoria”). Le imbarcazioni di cui si servivano sia per la pesca sia per il trasporto di merci o persone, erano il gozzo oppure il burchiello, più volte citato nelle nostre “ricerche”, in particolar modo in quella sul trasporto della maggior parte dei Mille (4-5 maggio 1860) dalla spiaggia sassosa della Foce ai vapori “Piemonte” e “Lombarda”, che li attendevano al largo (v. primo volume). A proposito delle imbarcazioni dei Foceani o (Focesi), nel famoso quadro del pittore danese Van Elven, conservato nel Museo del Risorgimento di Genova, appaiono quasi in primo piano un barcone contenente una decina di persone e un’imbarcazione dal fondo piatto e di forma affusolata. Su quest’ultima, due importanti personaggi della cerchia di Garibaldi (fiero repubblicano, ma nel 1860 temporaneamente “convertito” alla monarchia) il medico patriota Agostino Bertani, elegantissimo come sempre, con impeccabili pantaloni bianchi; l’uomo che volta la schiena, come se non volesse essere riconosciuto (allusione alla mente volpina e cospirativa del siciliano Francesco Crispi), sta leggendo un telegramma. È il “falso dispaccio” che Crispi fabbricò con l’aiuto del genovese Nino (Girolamo) Bixio per convincere Garibaldi, che aveva deciso di non partire e voleva, invece, ritornare nella “sua ”Caprera, a tentare un‘impresa che, obiettivamente, sembrava ed era “impossibile a realizzarsi”. E, con l’aiuto della buona sorte e grazie al valore di quei “diavoli scatenati”, vittoria fu! Ritornando al quadro del pittore danese, in un altro barcone, alcuni signori e signore “borghesi”, tutti col cappello in testa e seduti sul fondo dell’imbarcazione, sembrano attendere la partenza. Solo una donna è in piedi, accanto all’albero maestro: è senza cappello, perché è una popolana, e il suo sguardo è rivolto al Sud, alla Sicilia. È Rose Montmasson (detta Rosalie e, successivamente, Rosalia) l’unica donna che partecipò alla Spedizione dei Mille e fu volontaria infermiera degli Ospedali militari di Palermo e di Alcamo. Alla fine del 1854, a Malta, aveva sposato con rito cattolico Francesco Crispi, con cui aveva condiviso l’esilio, a Torino, e le successive lotte politiche (di origine savoiarda e di famiglia assai modesta, era una fervente repubblicana). Nel quadro compaiono alcuni pescatori e rematori della Foce. Fra questi vi era anche un “bisagnino” (le cronache del tempo lo indicano come “ortolano”): Tommaso Parodi (per età il più anziano dei Mille, che in gioventù aveva combattuto, assieme agli esuli liguri della Legione italiana, sotto il comando di Garibaldi, per la libertà del Paraguay. Quasi certamente questi valorosi rematori affrontano la fatica del trasporto di uomini e bagagli non per averne un vantaggio materiale né per un astratto “amor di patria” ma più semplicemente per l’entusiasmo di poter partecipare, quantunque in forma anonima e quasi marginale, ad una delle più grandi “avventure” della nostra Storia. Per il piacere di poter dire a figli e nipoti: “C’ero anch’io! ”.


In genere, però, i pescatori della Foce, com’è umanamente comprensibile, erano abbastanza attenti al guadagno: poiché la vendita del pescato, per un motivo o per l’altro, secondo loro, non “rendeva abbastanza ”, certuni si davano ad attività illecite come il contrabbando di sale, di olio, di vino, soprattutto nottetempo, quando il numero delle guardie daziarie era più esiguo ed era più facile il poter nascondersi (o nascondere le merci ) dietro le rocce di quella spiaggia sassosa ed impervia (se scoperti, e ciò accadeva abbastanza spesso, erano condannati dal Tribunale Civile al pagamento di salatissime multe o, se trovati recidivi, a qualche mese di carcere duro).

Alla Foce, diventava Comune autonomo, alle succitate attività illecite, esercitate non per spirito di avventuroso ma esclusivamente a scopo di lucro, si aggiungeva la prostituzione femminile: questa era esercitata, sotto il controllo del Governo (ma qualcuna delle “ragazze ”, qualche volta riusciva ad evadere da quella prigionia volontaria), in determinate “case”, note a tutti i Genovesi, della periferia cittadina dette appunto“ di tolleranza ”. Uno di questi edifici si trovava nel centro storico, dalle parti dell’odierno stradone di Sant’Agostino in una strada collegata al mare da un sentiero in discesa dal Colle di Carignano fino a quella strada di sassi e rocce, dove, terminate le operazioni di approdo e di scarico del pescato, le barche, così come accadeva nel porticciolo del vicino porto di Boccadasse, erano “tirate in secco”.
A metà strada, fra il culmine del Colle di Carignano e la spiaggia della Foce, vi era un’osteria in zona già foceana in cui si preparava un’ottima focaccia salata. Trovandosi quella locanda in un luogo lontano dall’abitato e, soprattutto, in una zona, in quanto non facente parte della città di Genova, fuori dalla cinta daziaria, il vino vi si vendeva, si smerciava e si… beveva con maggior larghezza che altrove, poiché il prezzo era giudicato conveniente anche per la vendita al minuto. Non si trattava, soprattutto di notte, di un locale per signorine di buona famiglia o per gente per bene, essendo frequentato per lo più, oltre che da pescatori, da contrabbandieri, “mezzani” (tutti armati di coltello a scopo, essi dicevano, di difesa), da ladri, che trovavano in quell’osteriaccia un punto di ritrovo dove potevano smerciare gli oggetti rubati, e da prostitute. Tutto questo, cioè questa lunga digressione, dovrebbe servire a dare l’idea che, in qualche modo, sulla spiaggia sassosa della Foce (e dintorni), nelle notti senza vento, con il mare in bonaccia e la Luna, necessariamente in fase calante perché non svelasse con la sua pallida luce le malefatte della “malagente” e delle “donne perdute”, poteva accadere di tutto. Anche un omicidio: commesso, in apparenza, “per futili motivi”. Ma è noto (e non solo ai criminologi) che la “futilità”, dopo molti bicchieri di vino e qualche insulto, accompagnato talora da un atto violento, si trasforma in risentimento e rabbia. E la rabbia in odio bestiale …


Il “fattaccio ”, avvenuto il 28 settembre 1878, così recita la cronaca nera del tempo (il testo originale è tratto dal numero del 25 settembre 2016 del “Secolo XIX”, scritto in vernacolo ed ivi tradotto in lingua italiana ): “Alla Foce, in località San Nazaro sulla scogliera chiamata Ciappa Larga, la mattina di ieri, da due ragazzi sono state trovate tracce di sangue; altro sangue rappreso galleggiava sull’acqua. La Guardia Daziaria ha affermato di avere visto accostarsi alla spiaggia un’imbarcazione, dalla quale erano scesi sette uomini che ne trasportavano… un ottavo. Questi erano passati per un viottolo che porta a San Francesco (di Boccadasse). Qui (N.D.R. “Nell’edificio del convento dei frati francescani”) sono state fatte ricerche ma non è stato trovato nessun “ferito”. Nello stesso giorno venivano trovati due gozzi sulla spiaggia della Foce, uno dei quali con due remi rotti. Più tardi un pescatore ha trovato due fazzoletti intrisi di sangue, un paio di mezze calzette da uomo un paio di sottocalzoni, o mutandoni da bagno, anch’essi insanguinati. Tutta roba per gente di basso ceto… Inoltre per la città si andava mormorando che da una “di quelle case” di Salita Mascherona e precisamente in quel medesimo giorno mancavano due ragazze. Inoltre la sera precedente il “fattaccio”, dentro un’osteria “sita nei dintorni della Foce”, con due giovani donne si erano fermati a bere ed a mangiare parecchi giovanotti che, dopo essere usciti dall’esercizio, tutti insieme, si erano diretti verso la riva del mare. Comunque, permanendo fitto il mistero (non è stata ancora scoperta l’identità di quei giovani uomini e di quelle ragazze), la cittadinanza desidererebbe sapere qualcosa dalle Autorità competenti, che però “fanno orecchio da mercante”, cioè fanno finta di non sentire come “o sordo”, per non dovere rivelare all’opinione pubblica il fallimento delle indagini. Non era stato ritrovato nessun cadavere né di uomo né di donna alla Foce né altrove. Un altro cold case di fine Ottocento? Il mare e l’omertà coprirono ogni cosa. E, ieri, come purtroppo, anche oggi, il solito “non luogo a procedere”… 




Nota Bibliografica

Le notizie storico topografiche sono state tratte da: I quartieri di Genova antica di Giulio Miscosi (Genova, Compagnia dei Librai, 2004); Antica Foxe del Gruppo Antica Foce, Genova, Arti Grafiche Francescane, 2018; Genova Garibaldina e il mito dell’Eroe nelle collezioni private, a cura di Luciano Morabito, Genova, De Ferrari 2008.