Daniele Cagnin
Prefazione
Cos’è che spinge le persone a
“parlare” di storia?
A questa domanda si possono fornire
diverse risposte o interpretazioni, tutte plausibili: “amor patrio” (indagare
sulle proprie origini), “ampliare le proprie basi culturali” (seguir virtute e
canoscenza - Cf. Dante, Inferno), “il dovere della memoria” (una frase presa in
prestito da altri contesti, ma sempre efficace)...
La storia ci permette, non solo di
conoscere il passato, ma di comprendere come si sia formato il “mondo in cui
viviamo”.
In questa “prima puntata” prenderemo
in esame, se pur brevemente, l’origine del nome FOCE, e alcune “notizie
storiche” del periodo pre-Quattrocento.
La porzione di territorio che verrà
presa in esame è quella del Comune della Foce (1808 - 1873): i confini quindi
sono a settentrione l’attuale via Barabino, a levante parte dell’attuale via
Nizza e via Trento e una parte di via Piave, a mezzogiorno la spiaggia e a
ponente l’attuale muraglione di corso Aurelio Saffi.
Rispetto ad altri “lavori
già eseguiti” cercheremo di fornire nuove notizie, ritrovate nel lavoro di
ricerca, per ampliare le conoscenze e proseguire nell’intento divulgativo che
ci siamo preposti. Buona lettura!
Parte Prima
Etimologia
Per quanto il toponimo venga spesso fatto derivare,
banalmente, da “foce” intesa come sbocco del torrente (Bisagno) alcuni
studiosi, nell’arco del tempo, hanno individuato due teorie di pensiero.
L’ipotesi greca
Un
ipotesi poco credibile e forse con pochi fondamenti storici.
La
notizia che il nome Foce deriverebbe dall’antico popolo dei Focesi (coloro che
“fondarono” Marsiglia intorno al 600 a.C.) è tratta da Giulio Miscosi: nella
sua trattazione (1) ci racconta che tale la notizia è presente anche in altri
“storici” tra cui Girolamo Serra (2). Ma leggiamo quanto riferisce:
«...il suo nome proviene, non già dal trascurabile sbocco a mare del
torrente, ma dall’antichissima residenza dei Focesi. Questa tesi sarebbe
avvalorata dalla collina di Fogliensi (Phocensis) dove ora sorge la chiesa di San Pietro e la regione di Foce Alta.
Infatti più tardi, verso il Mille, si creò in questo ameno colle, l’ordine dei
Fogliensi, che presero il nome dal luogo dove fu eretto il monastero».
Analizziamo
in sequenza quanto affermato:
1)
Che l’antico Borgo della Foce possa essere stato, in epoca preromana, la
“residenza” (probabilmente occasionale, visto i presunti traffici commerciali -
3 - con la popolazione autoctona), non ci sentiamo di escluderlo a priori, ma nello
stesso tempo possiamo escludere che siano stati i “fondatori” di un antico
nucleo abitativo.
2) Il toponimo usato per
indicare la prima parte della collina di Albaro (la zona di Foce Alta),
considerando anche la sua traduzione latina (Phocensis), sembrerebbe poco attendibile in quanto il nome
Fogliensi deriverebbe dal dialetto genovese Fuxensi:
quindi “abitanti della Foce”.
3) L’ultima citazione
fornita dal Miscosi è indiscutibilmente inesatta: l’ordine dei Fogliensi (o per
meglio dire Foglianti) erano monaci appartenenti all’ordine sorto dalla riforma
introdotta da Jean Baptiste de la Barrière
nell’abbazia cistercense di Notre-Dame de
Feuillant, presso Tolosa: resisi indipendenti dal capitolo di Cîteaux nel 1592, si diffusero
rapidamente in Francia
e in Italia,
dove erano noti come bernardoni.
Esisteva pure il ramo femminile delle fogliantine.
Da quanto detto possiamo quindi prendere in
considerazione questa tesi, come “tradizione popolare”, forse consolidata nel
secolo precedente, e di cui anche il Miscosi, probabilmente, non è certo, questo
perché non approfondisce la fonte, tanto è vero che conclude tale argomento in
maniera sbrigativa, dicendo: «Tralasciamo
quest’epoca che chiameremo eroica, dove il lettore può pensarla come meglio gli
aggrada». (4)
Ipotesi “moderne”
L’ipotesi più “scientifica”, che può essere presa in seria considerazione è
che il “toponimo” deriverebbe da passaggio o percorso tra due colline: nel
nostro caso fra Albaro e Carignano.Da un documento, datato 23 ottobre 1448, atto di vendita a rogito del Notaio Andrea De Cairo (5), risulta che un certo Ruggero della Guardia di Napoli è un abitante della città della Foce di Bisagno: villa Faucis (6) Bisannij propre Januae.
E’
curioso che un atto, riguardante la vendita di uno “stabile” nella zona della
Foce, venga stipulato in una data molto vicina al periodo (secolo XV)
considerato l’inizio dei “primi insediamenti abitativi” del sito. In questo
documento è citata la cappella di San Pietro come “proprietà” della famiglia
Credenza: divennero cittadini genovesi nel XIV secolo, ma nel XV secolo si
estinsero.
Toponimo Ligure/Toscano
Il castello di Fosdinovo (faucenova), come dice l’etimologia stessa del nome, sorse nei
pressi di una nuova “foce”, e quindi una delle “strutture stradali” per
eccellenza: un valico.
Parte seconda
Neolitico – Pre-romana
Periodo Neolitico
Il primo nucleo della nostra città fu alla Foce!
Le “nuove teorie sulla nascita di Genova” (7) trasferiscono il “nucleo
più antico”, dalla “tradizionale” zona del “Castello” alla zona tra piazza
della Vittoria e piazza Brignole: tutto ciò a seguito del ritrovamento di una palafitta,
risalente al V millennio a.C.
Sembra anche svelato la vera origine, e il significato, del nome
Genova: è la contaminazione etrusca di un nome più antico, celtico-ligure, Ghenaua,
che significa “bocca”, “imboccatura”, proprio perché la città è nata alla foce,
o bocca, del Bisagno. (Filippo Maria Gambari - soprindente ai beni archeologici
della Liguria).
I Liguri
Erano
un'antica popolazione, che ha dato il suo nome all’odierna regione della Liguria e al Mar Ligure
che la bagna.
In
epoca preromana, i Liguri occupavano l'attuale Liguria, l'area apuana e il Piemonte a sud
del Po. È però opinione comune che, prima del 2000 a.C.,
i Liguri occupassero un’area molto più vasta.
fonte
enciclopedica
Cicno
Figura
mitologica, figlio di Stenelo, era re dei Liguri; fu cambiato in cigno da
Apollo mentre piangeva la morte dell’amico Fetonte e poi trasformato in
costellazione.
fonte enciclopedica
Epoca pre-romana
Con questa “dicitura” si
tende ad abbracciare un arco temporale compreso tra l’inizio del VI secolo a.C.
e la fine del III secolo a.C.
La documentazione in nostro
possesso, per questo periodo, proviene unicamente dai ritrovamenti archeologici
(8) effettuati nella zona della necropoli (Brolium),
fine secolo XIX, e dagli “scavi di Castello”, anni Sessanta del secolo scorso.
Da questi reperti derivano due tesi di pensiero: Genova fu una “colonia
etrusca”? o fu un semplice “emporio commerciale etrusco”?
Per ciò che concerne la
“tesi politica”, dal De Negri (9) apprendiamo quanto segue: «A dir vero non è mancato chi ha avanzato
l’ipotesi di una prevalenza etrusca nella fondazione della città, facendosi
forte soprattutto della presenza dei già citati reperti archeologici (10): troppo poco, a parer nostro, per dedurne
una presenza etnica o “politica”, etrusca».
Lo stesso autore citato
pocanzi, sembra anche poco possibilista nei confronti della “tesi dell’emporio
commerciale”, benché tale teoria di pensiero sia quella più “analizzata”.
Non addentrandomi in
“dispute accademiche”, mi sembra opportuno, per “dovere di cronaca”, riportare
il “giudizio storico” del De Negri:
«Qualora i Greci, o anche gli Etruschi, avessero occupato Genova tra il
V e il IV secolo, i “geografi” antichi, così diligenti nell’annotare ogni
minuzia nelle loro cronache, non ne avrebbero certo tralasciato il ricordo.
Dobbiamo dunque limitarci a riconoscere la “presenza occasionale” di Etruschi e
di Greci, non un loro stanziamento continuato ed un dominio, che sarebbe poi un
“condominio” assurdo ed impossibile».
(11)
La conclusione a cui arriva
il De Negri è la seguente:
«Comunque
la compresenza, reale o potenziale, di Etruschi e di Greci in antagonismo più o
meno aperto sul “mercato” di Genova esclude la possibilità di una preminenza
degli uni sugli altri, e favorisce il rinvigorimento e lo sviluppo
dell’elemento indigeno». (12)
Parte TERZA
Medioevo
Archeologia
Le
ricerche archeologiche, effettuate a seguito dei lavori di sbancamento iniziati
nell’estate del 1991, per la realizzazione del Parking Vittoria, hanno portato
all’individuazione di tre “fasi insediative” precedenti l’impianto delle FRONTI
BASSE DEL BISAGNO (ca. secolo XVI), collocabili, cronologicamente tra il XIII e
XVI secolo.
Questi tre ritrovamenti sono stati collocati nel
XIII secolo per un tratto di strada larga circa cinque metri, nel XIV secolo
per un ponte ad arcata singola, un piccolo tratto di strada e alcune “prime
strutture insediative”, nel XV secolo per un tratto di strada larga circa sei
metri.
I Saraceni
Una
delle primissime costruzioni della Foce, forse del periodo 920 - 940, era una
torre utilizzata come guardia a difesa degli attacchi dal mare, diventata
successivamente come campanile della chiesa dei Santi Nazario e Celso.
Le chiese
Le uniche “costruzioni”, di cui si hanno
incerte notizie però, presenti prima del XIII secolo, sono da collocare in
quella zona detta di Foce Alta.
Sono la chiesa dei Santi Nazario e Celso (forse anteriore all’anno 987)
e la chiesa di San Vito (forse anteriore al 1079).
Curiosità
Nella
notte fra il 13 e il 14 dicembre 1311 muore nella nostra città, colpita da
un’epidemia di peste, un’importante “figura politica” dell’Europa di quel
tempo: Margherita di Brabante, coniuge dell’Imperatore Enrico VII di
Lussemburgo.
Questa
notizia, forse poco pubblicizzata negli ambienti scolastici cittadini, è stata
oggetto di numerose interpretazioni storiche, in primo luogo sulla data,
esistono almeno sette versioni diverse, e in seconda analisi sul luogo:
l’imperatrice muore nella “residenza”, fuori dalle mura cittadine, della
famiglia Zaccaria Palatio Heredum
Benedicti Zachariae et in urbis appendicibus ubi Bisagnum ad partem Orientalem
juxta mare (A. MUSSATO, Historia
augusta de gestis Heinrici VII Caesaris).
Da
quanto detto alcuni studiosi del secolo scorso, tra cui il Ferretto e il
Mazzotti, ritennero che tale residenza poteva essere collocata alla FOCE,
interpretando, forse in maniera “frettolosa”, le parole dello storico di corte juxta mare, come una vicinanza alla
costa.
Nel
XIV secolo il “nostro quartiere” non aveva sviluppo residenziale, quindi la
“prossimità al mare” delineata dal Mussato (considerando che è un padovano)
deve essere ricercata in un altro contesto cittadino.
Secondo
il Barozzi (Momenti di Geografia Storica
Genovese, Genova 2000, pp. 103 - 112), l’aerea localizzabile nel borgo
chiamato di San Vincenzo è l’unica “teoria valida”.
L’ultima
curiosità riguarda il monumento funebre: fu commissionato da Enrico VII a
Giovanni Pisano per commemorare l’amata moglie morta all’età di trentasei anni.
Nel Museo cittadino di Sant’Agostino si conservano alcuni dei pochi frammenti
sopravvissuti alla distruzione della chiesa di San Francesco di Castelletto.
La
defunta è rappresentata mentre viene sorretta da due angeli al momento
dell’ascensione.
NOTE
(1)
GIULIO MISCOSI, I Quartieri di Genova
Antica, Genova 2004, p. 256 - 257;
(2)
GIROLAMO SERRA, Storia dell’antica
Liguria e di Genova, Genova 1834, p. 17: ... e il medesimo [popolo dei Focesi] forse o un simile popolò al sinistro lato di Genova l’amenissimo
poggio di Calignano. Certamente que’ luoghi han nomi, che derivano dal greco;
(3)
E’ bene ricordare il ritrovamento, nel 1923 nei pressi di Crocetta d’Orero, di
numerose monete di argento, risalenti al III secolo a.C., nelle quali era
presente il tetradramma focese. E’ bene tener presente che sono molti i “siti”
in cui si fa cenno all’etimologia del nome Foce: sono da considerare come notizie
non provate storicamente;
(4)
GIULIO MISCOSI, I Quartieri di Genova
Antica, Genova 2004, p. 257;
(5)
A.S.G., Notai Antichi - Andrea De Cairo,
Filza n° 4 n° generale d’ordine 784, atto n° 272;
(6)Il
significato del sostantivo latino è passaggio stretto ed angusto (?);
(7)
MICHELA BOMPANI, La Superba è nata in riva al Bisagno “Genova era un porto
fluviale” articolo su Repubblica del 3 aprile 2010;
(8)
Iscrizione in caratteri etruschi, nella necropoli genovese, alla quale
corrisponde anche nello scavo di Castello un’altra breve scritta su un
frammento ceramico; esistono inoltre alcune murature a secco datate alla fine
del VI secolo;
(9)
TEOFILO OSSIAN DE NEGRI, Storia di Genova,
Firenze 2003; p. 28;
(10)
La zona del Brolium, successivamente venne chiamata “Orti di Sant’Andrea”,
nella quale ebbero dimora i Vescovi milanesi rifugiati a Genova durante il
periodo dell’invasione longobarda. I Vescovi milanesi dimorarono a Genova per
circa settant'anni, governando in qualità di Arcivescovi (dalla chiesa di
Sant’Ambrogio), anche perché la “Chiesa genovese” era “subalterna” di quella
milanese. Nel 638 la sede fu nuovamente trasferita a Milano, grazie a San
Giovanni Bono, nativo di Recco;
(11) TEOFILO OSSIAN DE NEGRI,
Storia di Genova, Firenze 2003; p.
30;
(12) Idem, p. 31;
Bibliografia
PIETRO BAROZZI, Momenti di Geografia Storica Genovese, Genova 2000.
MICHELA BOMPANI, La Superba è nata in riva al Bisagno “Genova era un porto fluviale”
articolo su Repubblica del 3 aprile 2010.
GINO REDOANO COPPODE’, L’uso
anomale del termine foce
nella Liguria orientale e nella Toscana occidentale tra il
medioevo e l’età contemporanea, Genova
1987.
GIULIO MISCOSI, I Quartieri di Genova Antica,
Edizione Compagnia dei Librai, Genova 2004.
NICOLO’ PERASSO, Memorie e notizie di chiese ed opere pie di
Genova, manoscritto 1770 ca.
GAETANO POGGI, Genova Preromana , romana e medioevale, Genova 1914.
GIROLAMO SERRA, Storia dell’antica Liguria e
di Genova, Torino 1834.
Marzo 2014
Una industria genovese presso il Bisagno agli inizi del 1300
Focea a differenza di quasi tutte le colonie genovesi d'allora non vive del commercio di transito che è insignificante, ma della produzione delle miniere di allume che nella prima meta del Trecento un manuale di pratica commerciale valuta a circa 14 mila "cantari" all'anno (press'a poco 730 tonnellate).
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Tutte le industrie tessili, già da allora così sviluppate in Europa hanno bisogno di allume per fissare i colori; i conciatori lo adoprano per le pelli, i farmacisti lo impiegano come blando emostatico, i pittori, gli indoratori se ne servono.
Questa molteplicità di applicazioni spiega la diffusione e il consumo eccezionali per l'epoca. Ma quando lo Zaccaria riprese lo sfruttamento delle miniere di Focea che prima sembra fossero abbandonate, erano in circolazione per l'Europa almeno altre diciotto qualità d'allume, da quello nostrano di Lipari che si considera scadentissimo a quello pregiato di Colonna o di Trebisonda che anche dopo sarà reputato il migliore del mondo. A differenza di quasi tutte le altre mercanzie, per le
quali nel Medioevo la domanda superava l'offerta, d'allume c'era da lamentare una vera e propria superproduzione che aveva persuaso gli appaltatori delle miniere del sultanato d'Iconio a organizzare un monopolio per tenere alti i prezzi.
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Lo Zaccaria imposta la lotta coonuna modernità, con un acume, con una larghezza di procedimenti che ci riempie d'ammirazione. Probabilmente un capitano d'industria americano non saprebbe trovar di meglio: in un'epoca in cui le industrie sono assai più arretrate che non il commercio, Benedetto Zaccana ci apparisce, nel suo campo tecnico, un precursore non meno geniale di un Marsilio da Padova o di un Leonardo. Comprende che per guadagnare di più bisogna non già tenere i prezzi alti
ma diminuire il costo di produzione: ed eccolo arruolare una maestranza tutta indigena che richiede salari poco elevati e ridurre al minimo le spese di trasporto seguendo fino all'ultimo la via di mare con le proprie galee sulle quali soltanto carica I'allume.
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Vogliamo ricercare nella sua industria la cosiddetta integrazione verticale? C'è anche quella: Benedetto Zaccaria impianta a Genova presso il Bisagno una tintoria, dove certamente tratta i panni con l'allume delle sue miniere. I risultati sono di una grandiosità in tutto eccezionale per l'epoca: la città che sorge in pochi anni presso le miniere di Focea nel 1308 ha circa temila abitanti (a quel tempo si calcola che Londra potesse averne circa 30 mila, Lipsia 4 mila Ypres - metropoli
dell'industria tessile fiamminga - 40 mila). Lo Zaccaria vi ha chiamato da Genova uomini di tutti i mestieri, dal calzolaio al medico-chirurgo che per la modica somma di quaranta iperperi all'anno si impegna a curare egualmente i Latini e i Greci e nel caso che non ci siano malati promette di fare qualun altro lavoro.
estratto da: Roberto S.Lopez, Storia delle colonie Genovesi nel Mediterraneo, Marietti, Genova 1996
R.S. Lopez, Benedetto Zaccaria, ammiraglio e mercante nella Genova del Duecento, Principato, Milano - Messina 1933.
La morte di Margherita di Brabante
Rosa Elisa Giangoia
Secondo quanto scrive il cronista milanese Bernardino Conio [1], Benedetto Zaccaria (morto nel 1307) avrebbe anche avuto "lungo il torrente Bisagno, vicino al mare", probabilmente in prossimità della tintoria, una villa, dove, nella notte tra il 13 e il 14 dicembre del 1311, sarebbe morta l'imperatrice Margherita di Brabante, moglie del sovrano Arrigo VII di Lussemburgo ("l'alto Arrigo" di Dante, Par. XXX 137), in seguito alla peste contratta in precedenza, forse durante l'assedio di Brescia.
Fu poi sepolta nella Chiesa di San Francesco in Castelletto nel monumento funebre fatto erigere dal marito per mano di Giovanni Pisano, di cui si conservano solo alcuni frammenti, attualmente al Museo di Sant'Agostino.
[1] B. Conio, L'historia di Milano volgarmente scritta, Venezia, 1554, c. 174 v.
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