Daniele CAGNIN
PREFAZIONE
Il presente elaborato fa parte di una serie, in cinque
puntate, che narrerà le vicende storiche dei sei edifici sacri che erano presenti
nella Foce antica. Tutto ciò è il risultato di un “progetto storico” che il
gruppo culturale dell’Antica Foce (presente nella Biblioteca Servitana) ha
ideato circa un anno fa e che porta a questa “creatura”.
In questa prima puntata prenderemo in esame la chiesa dei
Santi Nazario e Celso, esistita per circa un millennio, e di cui, probabilmente,
si è persa la memoria storica: è tramite questo lavoro di ricerca, prima, e di
divulgazione, dopo, che il mio intento di “comunicazione” non viene meno e
consolida quel rapporto con il passato, che a volte non siamo in grado di
raccontare in modo competente.
Per rendere più agevole la lettura di questa “relazione”, ho
diviso il lavoro in tre capitoli: il sito originario, la chiesa romanica, la terza
chiesa. E’ doveroso portare a conoscenza, pur se con alcuni limiti, notizie
sulla “nostra Foce”: buona lettura.
CAPITOLO 1
IL SITO ORIGINARIO –
Notizie storiche fino al X secolo
Descrivere eventi
storici lontani dal nostro quotidiano decine di secoli è un “operazione” che
richiede un lavoro di “ricerca” non sempre agevole, anche se si hanno a
disposizione le fonti contemporanee; ciò dipende dal fatto che si deve
“indagare” con gli elementi messi a disposizione dalle “prove raccolte” che
culturalmente presentano difficoltà di carattere linguistico (latino), di
carattere grafico (calligrafia diplomatica), e di veridicità storica: i
cronisti altomedioevali o tardo antichi reputavano doveroso “esaltare”
l’avvenimento storico piuttosto che approfondirlo … ma quando mancano i documenti?
In questo caso il compito è sicuramente molto arduo, ed è doveroso prendere in
esame una più ampia narrazione storica.
Le prime “notizie
certe” sulla chiesa che sto analizzando sono da far risalire alla fine del X
secolo, ma precedentemente?
Se diamo credito a
quanto riferito da alcuni studiosi consultati dobbiamo considerare che il luogo,
dove sorgerà la “sede definitiva” della chiesa, era già frequentato in epoca
romana, anche se scarsa di costruzioni: doveva essere una zona sacra, forse una
necropoli o comunque un luogo di sepoltura.
EPOCA ROMANA
A supporto di quanto
detto nel paragrafo precedente è doveroso citare il contenuto della lapide1che era presente, fino
al 1830 (anno in cui fu trasferita e donata all’Università di Genova), nel
campanile della chiesa stessa: Intra consaeptum
maceria locus Deis Manibus consacratus (trad. il luogo entro lo spazio
cinto da muro a secco è consacrato ai Dei Mani2), l’interpretazione più attendibile relativa
al termine “spazio cinto” (come già detto), è cimitero. Tale tesi è stata argomentata
per la prima volta sul finire del Settecento da Nicolò Perasso: …prima della nascita del Rendentore
circondata da una Maceria dentro di cui v’era il Cimiterio de Gentili
consacrato alle Sognate Deità dell’anime de loro defunti3. Anche Federico
Alizieri, che non conosceva lo scritto del Perasso, arriva alla stessa conclusione
in modo più approfondito: Se pure è ardir
troppo l’arguire da quel maceria un’ustrina4già quivi
esistente ove i cadaveri dalla città si mandassero ad ardere, ben potrà
giudicare il più timido che un chiuso cimitero a tempi remoti della romana
gentilità servisse o nel luogo presente o non molto discosto ad uso
degl’inquilini di questo contado5; consultando il Novella6si evince che l’autore
era poco possibilista affermando: forse
era il pubblico cimitero.
I critici7che nei loro studi
hanno considerato tale “spazio” un tempio dedicato alle anime dei defunti,
risultano imprecisi in quanto per queste “divinità familiari” non esistevano
edifici sacri.
BREVE CRONACA CITTADINA8
La storia di Genova nella
metà del VII secolo è da collegare al “periodo longobardo”, ma dopo poco più di
cento anni (nel 774) abbiamo il “trapasso” all’età carolingia, periodo nel
quale il Regnum Langobardorum viene
annesso al nascente impero di consacrazione cristiana, diventando Regnum Italicum.
In quest’epoca la città
(già ben delineata con il castrum, la
civitas, e il burgus) comincia ad avere un ruolo meno marginale anche in campo
marittimo, e non è escluso che ancora nel IX secolo, in funzione di difesa
delle Riviere, era uno scalo d’appoggio per la marineria bizantina.
Per circa un secolo la
nostra città (che potrebbe aver avuto una già robusta cerchia di mura: forse
del IX secolo) è risparmiata dalle scorrerie dei saraceni, finché per ben due
volte venne saccheggiata e incendiata nel ventennio 920 - 940.
LA TORRE SARACENA
La tradizione vuole che
il campanile della chiesa era la torre quadrata posta a guardia contro i già
citati attacchi saraceni: è ragionevole, quindi, collocare la costruzione9nel X secolo? Secondo
l’Alizieri l’aspetto del “monumento” è indizio di remota antichità, ma nutre
dei dubbi su chi possa essere stato il suo effettivo autore: forse la famiglia
Del Giudice, secondo il manoscritto10del secolo XVIII (o come affermato
dall’Olivieri del secolo XVII), della Biblioteca Universitaria.
Nelle zone depredate
dai Saraceni, esiste una grande abbondanza di edifici e rovine che vengono collegati
con il loro nome: a centinaia si potrebbero contare le torri e i castelli detti
“dei Saraceni”, se non che tutti i resti di edifici, che leggende popolari ben
radicate amano collegare agli incursori mussulmani, sono normalmente di epoca
assai più tarda e non hanno mai avuto niente a che fare con essi. Il termine
saraceno passò, spesso e volentieri, ad indicare tutto ciò che all’occhio
dell’inesperto risultava di antichità non determinabile.
Oltre al periodo risulta
discordante anche il nome: il Perasso11la cita come Torre d’Albaro, mentre il De
Simoni12la nomina come Torre di
San Nazaro (del promontorio omonimo).
A breve distanza dal luogo
di questa costruzione è tutt’ora presente una torre del Quattrocento chiamata
Torre dell’Amore13:
ancora una volta, nella rete informatica, sono presenti notizie errate, che portano
il “lettore” a confondere le due strutture.
LA PRIMA CHIESA
(antecedente al secolo X)
Come già accennato nel
paragrafo iniziale, le prime notizie certe sulla chiesa risalgono alla fine del
X secolo, ma secondo il Perasso14una
prima costruzione (forse una piccolissima cappelletta ? – angusta come era nel suo primo essere) era già presente fin dalla
remota antichità, sorta per commemorare in modo dignitoso il ricordo della “celebrazione
della prima messa”: i Genovesi […] eressero a loro onore un tempio in distanza
di 60 passi dalla prememorata Torre. Questo fu coltivato, e venerato dalla
pietà de fedeli circa 800 anni e fin tanto che con la spiaggia circonvicina non
fù divorato dalli impetuosi flutti del Mare.
Questa “tesi” è
sostenuta anche dal Novella15,
il quale ci riferisce che trae questa notizia (coincidente parola per parola
con quella del Perasso) da un manoscritto presente nella biblioteca del
convento dei Padri Minori Conventuali della chiesa di San Francesco d’Albaro.
Analizzando in maniera
più approfondita il testo del Perasso si viene “assaliti” da “comprensibili”
dubbi: è discutibile fissare in otto secoli il periodo di culto di questi
martiri, considerando che la leggenda dei martiri, in ambito locale, è da
fissare in un periodo compreso tra il VI e VII secolo; anche la distanza di
sessanta passi (circa cento metri) appare poco accettabile: la costruzione
sarebbe da collocare nella piccolissima spiaggia16.
Dal De Simoni17abbiamo un ulteriore
ipotesi: […] tempio pagano tramutato in
chiesa cristiana. Nessun documento vi accenna, e questo per la durata di non
meno di otto secoli, fino a quando la chiesa dei santi Nazario e Celso
scomparve silenziosamente, come silenziosamente era sorta, tra i gorghi del
mare. Approfondendo al meglio la lettura del manoscritto del Perasso si
scopre che sino all’anno 987 la famiglia Del Giudice ebbe il Giuspatronato18della “chiesa antica”: per molti anni se ne conservo’ il IUS
PATRONATUS, e nominandi la medema Casa del Giudice sino all’anno 4°
dell’Imperattor Ottone III. La data
di incoronazione del re germanico è da fissare nell’anno 983, quindi il quarto
anno di regno è proprio il 987. Il Giscardi19riferisce quanto segue:
Chiesa di S. Nazaro situata alla Marina
di Albaro ante annum 988: questa data è da riferire all’anno della
ricostruzione?
Sempre il Perasso cita Giovanni secondo Vescovo di Genova20, del quale si hanno
notizie nel periodo 984 - 101921.
Anche l’Alizieri cita lo stesso Vescovo; il Novella22, pur citandolo, si
pone il seguente problema: se questo
Giovanni confermò la donazione [vedi capitolo successivo] fatta ai monaci della parrocchia di S.
Nazaro di Albaro vuol dire che è antica, e cita la data del 742. Esiste un
elenco di Vescovi (probabilmente non documentato e presente anche nella rete
informatica) che per il periodo altomedioevale elenca nomi diversi che non
trovano una reale collocazione storica; per la fine del X secolo si parla di un
certo Giovanni IV (983 – 995).
CONCLUSIONI
Dopo aver visionato alcune mappe dal
XVIII al XX secolo, posso affermare senza ombra di dubbio, che il sito della
chiesa (o cappella) dei Santi Nazario e Celso è da collocare in una zona
compresa tra la crosa denominata di San Nazaro, di cui si ha notizia fin dal
134523, e il ruscelletto che
segnava il confine fra la zona di Albaro e la Foce. Questa descrizione
“tradotta in quadro moderno” potremmo collocarla tra le attuali via Piave e via
Quarnaro24:
questa “porzione” si trova oltre il confine dell’antico comune della Foce, ma è
doveroso continuare questa narrazione, in quanto dal XV secolo fu la parrocchia
del Borgo della Foce, pur se era già presente una Cappella dedicata a San
Pietro.CAPITOLO 2
LA CHIESA ROMANICA-Dal
secolo XI al secolo XVI
LA VISIONE DELLE FONTI
Con le varie notizie
fornite fin’ora il lettore avrà “favoleggiato”, ma con questo capitolo “entriamo
nella storia”. Per “indagare” al meglio è necessario, per non dire vitale,
consultare i “documenti originali”, reperiti presso gli archivi cittadini25, salvatisi dall’oblio
dei secoli o dai vari incendi, o dai “saccheggi culturali” degli eserciti stranieri,
dei quali si può disporre degli avvenimenti “narrati” secondo la veridicità
storica del tecnico competente, ciò che le trascrizioni successive sembrano non
realizzare; è doveroso, quindi, esaminare al meglio le “presunte inesattezze”
commesse dai copisti dei secoli successivi ed annotarle per essere a
disposizione di “ricerche future”.
Analizziamo lo scritto
del cronista ecclesiastico settecentesco genovese per eccellenza: il Perasso. Nel suo “componimento” cita un atto redatto
dal Notaio Fulconio datato 9 aprile 98826(o 9 ottobre dello stesso anno), nel quale è documentato che il Vescovo Giovanni II
avvallò la donazione (inter vives),
fatta dalla famiglia Del Giudice ai monaci benedettini di Santo Stefano (nella
persona dell’abate Eriberto), per ufficiare la Basilica Sancti Nazarii que fundata est prope ripa maris in loco qui
dicitur Albario ubi ad Sanctos Peregrinos: la chiesa fu eretta in
Parrocchia col titolo di Rettoria.
L’Alizieri27attribuisce all’anno
987 il periodo del documento, anche i Remondini28citano la stessa data, mentre il Belgrano29riporta: dopo il 987, nel mese di maggio.
Oltre all’aspetto
legislativo la chiesa fu dotata di rendite, che come ci descrive l’Alizieri
erano: ... loro spettanti sul territorio
che dalle sponde del Bisagno spaziava al rivo Vernazza, e dalla strada Romea
fino al mare30.
La citazione appena fornita ci descrive parte del territorio che fino al 1876
era di pertinenza del Comune della Foce: è opinione comune che fino all’inizio
del XV secolo la zona della Foce era “disabitata”, l’unica costruzione esistente era un mulino
citato in alcuni documenti del XII secolo. Abbiamo anche una menzione in un
atto del 993, per una locazione fatta da Andrea, abate di Santo Stefano, ad
Andrea fu Adalgiso: una terra da pastinare
qui posita est in fundo Albario non longe ab Ecclesia predicti Nazarii.
Le “concessioni” fatte
ai monaci benedettini ed annotate il 7 novembre 1132 (?) dall’Arcivescovo Siro,
furono confermate negli anni successivi da vari Pontefici: Innocenzo II nel
1136, Eugenio III nel 1145, Urbano III nel 1185, Celestino III nel 1192, e
Innocenzo IV nel 1251.
E’ interessante
riportare una “notizia particolare” dell’Alizieri: avean messa la chiesa a governo de’ frati di S. Stefano, pur allora
succeduti ad una famiglia di monache31. Questa citazione avvalora la tesi descritta
nel capitolo precedente, circa una chiesa anteriore a questa romanica.
BREVE DESCRIZIONE DELLA
CHIESA
La presunta “chiesa
paleocristiana” probabilmente fu restaurata nel secolo XI, all’epoca delle
ricostruzioni benedettine (come Santo Stefano, San Siro, Santa Sabina), e fu
posta ad undici passi dalla torre32: com’era consuetudine
del Medioevo fu rivolta con l’ingresso a Ponente33.
La chiesa fu fabbricata
a tre navate e le cappelle furono consacrate alla Madonna (quella destra, la
più vicina al mare), al Santissimo Crocifisso (quella sinistra) e l’altar
maggiore fu dedicato ai santi titolari. Era presente il Coro con i suoi sedili,
il battistero, alcuni sepolcri con lapidi marmoree e la Canonica con giardino.
La costruzione avvenne
grazie all’aiuto economico della famiglia Del Giudice (forse di “nazionalità”
Germanica), la stessa del già citato Giuspatronato; per ciò che concerne la generosa casa Del Giudice abbiamo i
seguenti nomi: Pietro, Obizzo (o Opizo) e Giovanni; il Perasso34cita gli stessi nomi
“alterando” un nome (Opizone) e Giovanni è citato come “Diacono”: conosciamo
anche la paternità, Alberto.
LA NOMINA DI UN RETTORE
(secolo XIII)
Agli inizi del XII
secolo il ruolo del monachesimo benedettino, nella società, aveva cominciato a
modificarsi. Ma era una trasformazione che deve essere vista in un più ampio
processo di evoluzione della società e dell’economia, e rifletteva più in
generale la crisi del ruolo della monachesimo, della stessa Chiesa
altomedievale, e delle temporalità ecclesiastiche in una società che si stava
trasformando profondamente sia dal punto di vista economico che da quello
politico. Nell’Alto Medioevo, in una economia agraria e signorile, quando la
terra era stata la principale fonte di ricchezza e il fondamento del sistema
delle relazioni sociali e politiche, la forte osmosi fra Chiesa e potere,
naturalmente aveva fatto si che le grandi proprietà monastiche, si ponessero
come nuclei primari di organizzazione economica e sociale. Si venivano a
sviluppare un’economia e una società diverse: un’economia che non aveva più il
suo fondamento nella terra soltanto che produceva nuove forme di ricchezza
attraverso le manifestazioni e vedeva la grande affermazione della città.
In questo panorama
appena descritto, si inserisce come una tessera di un mosaico l’episodio del
“passaggio” della Rettoria al clero secolare. Dall’anno 1224 i monaci benedettini
nominarono un Rettore per la chiesa di San Nazario (incarico approvato
dall’Arcivescovo ad curam animarum):
in quest’anno la nomina ricadde su un sacerdote del clero secolare, un certo
Prete Gandolfo (presente anche nel 1239, e forse nel 1252), il tutto fu
confermato dal notaio Salomone in data 20 marzo (in detto atto è presente, come
teste, il prete Anselmo della chiesa di San Vito di Albaro): il prete Gandolfo
dovette giurare “fedeltà ed obbedienza”35all’Abate di San Stefano, Raimondo36.
E’ bene tener presente
che tra gli effetti giuridici di quest’atto, era previsto che ogni anno il rettore
era obbligato a versare un tributo (censo) di lire tre ai frati benedettini.
Nel 1229 fu eseguito un
inventario dettagliato della chiesa: tutto ciò è documentato da una pergamena37(in buone condizioni di
conservazione), presente all’Archivio di Stato, nella quale è riportato il nome
del funzionario che compilò l’elenco, un certo Petrasio da Mussio. Come
accennato nel paragrafo iniziale del capitolo, su questo episodio i critici
“commentano” l’episodio con superficialità: il Perasso38confonde questa data
(26 luglio 1229) con l’elezione del Rettore; i Remondini39, confondono l’anno di
elezione con l’anno dell’inventario e nominano in maniera errata il nome del
notaio scambiandolo con il Perasso: per
ciò che spetta a’ suoi Rettori abbiamo in Notaio Nicolò Perasso che nel 1224 fu
eletto Padre Gandolfo, l’anno stesso fece l’inventario dei beni di questa
chiesa.
BREVE CENNI DEI SECOLO
DAL XIII AL XIV
Nel 1230 o 1231 vi fu
un contrasto fra il Capitolo di San Lorenzo e l’Abbazia di Santo Stefano sul
diritto delle già citate decime: fu posta fine alla controversia dividendo la
“rendita” a metà fra i due contendenti il 7 marzo 1232, tramite atto redatto
dal notaio Salomone40.
Per l’anno 1239 (9
novembre) si ha notizia di un certo Giacomo Monaco del convento di Santo
Stefano, al quale viene concessa licenza
di vivere in un reclusorio, che s’avea fatto fabbricare presso la chiesa di S.
Nazaro di Albaro41:
tale licenza fu “pubblicata” l’8 dicembre 1252 dal Cancelliere
dell’Arcivescovo.
Per l’anno 1311
sappiamo che il rettore è un certo Prete Ugo, lo si può leggere nel Syndicatus42: Presbiter
Hugo minister S. Nazarii de Albaro.
Nel 1360, come citato
dal Cambiaso43,
le “tasse” spettanti alla chiesa di San Nazario di Albaro sono pari a 2 soldi e 6 denari.
Nel 1383 (1 settembre)
l’Arcivescovo di Genova unì, forse in maniera “provvisoria” le rettorie di San
Nazaro con quella di Santa Croce di Sarzano, probabilmente per motivi
economici.
Nell’Illustrazione del Registro Arcivescovile44è presente, per l’anno
1387, l’Atto di riparto della tassa
straordinaria imposta sulle chiese e gli altri luoghi pii dell’Arcivescovato di
Genova: per la chiesa dei Santi Nazario e Celso abbiamo un importo di libre 3.
Delle “concessioni sui
beni fondi”, già citate, sappiamo che era consuetudine darle in enfiteusi45; fu anche istituita
una Cappellania46“fondata”
dal Reverendo Prete Giacomo Malagamba di Albaro, come risulta nel suo
testamento rogato dal Notaro47Giovanni
Gallo nel 29 novembre 1342. In merito a questo “episodio”, il Novella da un suo
personale giudizio: tali beni non si sa
oggi come siano sfumati48.
LA DECADENZA
E’ plausibile pensare
che la chiesa, pur con alterne fortune, proseguì nella sua opera di “cura delle
anime” (nel territorio di pertinenza), fino a tutto il XV secolo, anche se non
si sono trovate notizie (a parte l’elenco dei rettori in appendice):
sembrerebbe che per quasi un secolo la popolazione avesse “smarrito” il culto
dei due Santi Martiri.
Sappiamo per certo che
l’ultimo Rettore fu Bartolomeo Boero49. Sulla data di nomina esistono varie “linee di
pensiero”. Il Novella50cita
il 1510: appare poco attendibile; il Perasso51cita il 1536: in quel periodo il Rettore è un
certo Nicolò Castellini (forse il cronista settecentesco intendeva riferirsi
all’obbligo di versare il censo52);
la data più certa dovrebbe essere il 1543. Per un maggiore approfondimento
sugli avvenimenti riporterò integralmente le parole posteriori del De Simoni53: Nessuno si preoccupava di quanto era accaduto: non gli Abati di santo
Stefano, non il patrono Bartolomeo Lomellino sottentrato dieci anni prima nel
giuspatronato ai Del Giudice. Non
sembra che se ne siano preoccupati nemmeno i parrocchiani perché se agli
Albaresi la chiesa dei santi Nazario e Celso riusciva cara per le memorie che
ad essa si collegavano, specie allora in cui ogni chiesa era ara e tomba,
sentivano però il disagio della lontananza e dell’impervio cammino per
recarvisi, onde già da tempo avevano finito per preferire la chiesa dei
Francescani a quella dei Santi Nazario e Celso.
UN’INTERPRETAZIONE
STORICA DEL PERASSO
Or lasciamo la nuova Chiesa [quella del Seicento -
vedi capitolo III] nel stato in cui si
trova e supponiamo l’antiche nel sito primiero già occupato dal mare in cui si
trovava unita, ed incorporata quella di San Francesco d’Albaro [dalla
seconda metà del Cinquecento] di pagare
il preteso canone terrativo [canone dell’enfiteusi] ossia all’Abazia di Santo Stefano. Primieramente si risponde che i
Padri di Santo Stefano essendo subentrati al possesso della chiesa di San
Nazario in vigor della donazione statagli fatta dal famiglia Giudice [nell’anno
988] per il juspatronato che detta
famiglia haveva acquistato infabricarla iuxta illud Patronum faciunt dos
edificatis fundus se volevano mantenere
il loro jus di scodere [riscuotere] le
tre lire annue imposte in debita parte sopra tale beneficio, dovevano quando il
mare la divorò [secolo XVI?] o pure
quando l’ultimo Rettore fù necessitato di mendicare l’alloggio da Padri Conventuali
ristorarla, ovvero contribuire qualche grossa somma per la nuova erezione
perché è cosa certa che se si perde il fondo cessa il juspatronato [a norma
del diritto sull’enfiteusi], e cessando
il juspatronato deve anche cessare l’annua contribuzione e questa nemmeno può
essere imposta sopra li emolumenti parrochiali essendo questi incerti e frutto
delle grandi fatiche del povero Parroco.
Che la
Chiesa di San Nazario sij stata confermata a Padri di Santo Stefano da Sommi
Pontefici [dal
XII al XIII secolo] non è meraviglia
essendo seguito ad istanza loro e se havessero rappresentato che tutta la valle
del Bisagno fosse sua sarebbe seguito lo stesso si dimanda loro siccome hanno
portato alli Atti le dei Pontefici che le hanno confermato il possesso di
quella, perché non hanno parimente rapresentato l’instrumento rogato li 26
Luglio 1229 [l’anno esatto è il 1224: è l’atto che sancisce il “passaggio
della gestione” al clero secolare].
CAPITOLO 3
LA TERZA CHIESA – Dal
secolo XVI al secolo XIX
LA DECADENZA DEL SECOLO
XVI
Come emerge da alcuni
dati forniti nel capitolo precedente gli splendori della “seconda chiesa”
durarono meno di cinque secoli. Nella prima metà del XVI secolo, il quadro
descritto dai cronisti posteriori ci delinea una situazione non certo positiva.
Questa condizione sfavorevole sembrava potesse risolversi negli anni trenta del
secolo menzionato, quando il Giuspatronato, in capo alla famiglia Del Giudice,
passò a Bartolomeo Lomellini da Passano54(forse uno dei diciassette capitani eletti nel
1529 per “difendere la patria”), ma il tutto non portò ad un sostanziale
miglioramento peraltro necessario.
La cronaca viene
raccontata dal Novella55:
L’anno poi 1543 D. Prete Boero trovossi
rovinata la canonica, e la navata della chiesa dalla parte del mare distrutta
dai flutti, scoperchiato il tetto di detta parrocchiale e l’accesso della
medesima dalla parte della spiaggia impraticabile.
L’attendibilità storica
del Novella non è sempre accettabile, soprattutto sulle citazioni delle date:
da quanto affermato se consideriamo esatta la data del 1510, già riferita
precedentemente, il rettore (mentre sappiamo esserne succeduti sei - vedi
appendice) della “nostra chiesa” dovette vivere in una condizione molto
precaria per un periodo di circa trent’anni (quindi poco credibile) anche dal
punto di vista economico con l’aggravio di
sei ducati annui al Vescovo di Sagona, e di tre lire annue a PP di S. Stefano56.
Vedendosi in tale
condizione irrimediabile il sacerdote si ritirossi
nel convento delli RR. PP. Minori Conventuali di detto luogo di Albaro, e
cortesemente ricevuto si servì della loro chiesa ed assistenza per soddisfare
agli obblighi della sua cura predetta57: probabilmente nel 154358.
LA RINUNCIA ALLA
RETTORIA
Dopo essersi “ritirato”
nel vicino convento di San Francesco d’Albaro, Bartolomeo Boero rinunziò quel benefizio nelle mani del Sommo
Pontefice allora Paolo III, nominando
suo Procuratore fra Franco Lomellino da Chiavari, laico Conventuale. Il
Pontefice verificando lo stato miserabile
della rinunziata parrocchiale, emanò un “Diploma Apostolico” (12 giugno 1544) incipiens ad apostolicae sedis apicem datum Rome apud S. Marcum anno
1544, XII Kal. Junii dichiarando la chiesa dei Santi Nazario e Celso unita
in perpetuo, con tutti i diritti, frutti ed appartenenze, al Monastero e Chiesa
dei Minori Conventuali di San Francesco di Albaro.
La pubblicazione di
detta Bolla papale fu “trascritta”, su incarico del Pontefice (incombenzò a tale uopo), dall’Arcivescovo
di Bari e dai Vescovi di Feltre e Cesena. In vigore di tale Bolla il 27
agosto 1544 i frati presero solenne possesso della Chiesa dei Santi Nazario
e Celso, com’era anche visibile dall’atto rogato dal Notaio Bernardo Usodimare
Granelli59:
purtroppo ai nostri giorni la copia dell’imbreviatura manca di una parte60.
In detto atto veniva
anche specificato che segnatamente comandò
che la cura delle anime a quella chiesa soggette venga esercitata da un
religioso di detto Convento da nominarsi dal Guardiano pro tempore61.
Per confermare quanto
appena riferito, venne eseguita un’epigrafe con la seguente iscrizione: nobis assidue orandum est fratres pro nobili
Juliano Salvaigo62quo auctore sanctorum Nazarii e Celsi
paroecia ad nos pervenit anno MDXLIIII XII Kal. Junii ut in diplomate
Pontificio patet fratre Jo Francisco Peratio Guardiano63.
Riprendendo l’analisi
delle fonti troviamo un’altra incongruenza cronologica: dal Giscardi64leggiamo che nell’anno
1597 la Chiesa dei Santi Nazario e Celso di Bisagno65fu unita perpetuamente
ai Padri di San Francesco d’Albaro dalla Sede Apostolica.
Per il cronista la
designazione fu fatta in manu B.mi Papae
per quondam Praesbiterum Bartolomaeum Boerium tunc Rectorem illius Ecclesiae
quae Parrochia est.
COMMENTO POSTUMO
ALL’EPISODIO
Riporterò, come già
fatto in precedenza, le parole tratte dell’elaborato del De Simoni66: Ne’ credo sia lontano dal vero supporre che gli Albaresi si
rallegrassero in cuor loro il giorno in cui seppero che Papa Paolo III aveva
affidato ai Francescani la cura spirituale dei parrocchiani della diroccata
chiesuola. Non si spiega altrimenti una tale noncuranza per un rudere reso
glorioso dalla fama di essere stato la culla del Cristianesimo in Liguria.
LA RINASCITA DEL SEICENTO
La situazione descritta
nei paragrafi precedenti ci farebbe sperare in una risoluzione definitiva degli
avvenimenti, ma consultando i vari documenti a nostra disposizione, la
situazione non migliorò: la chiesa è descritta nella relazione67della visita effettuata
nel 1582 da Monsignor Bossio, Vescovo di Novara e Visitatore Apostolico della
Curia Genovese.
A distanza di un secolo
dalla rinuncia, il 31 gennaio 1645, il
Padre Girolamo Lagorio (forse di Albaro) cercò di far “rinascere” la chiesa: a
tal proposito furono interessati alcuni nobili di Albaro, il Novella ci narra
che erano nobili possidenti. I loro
nomi sono Gaspare Donati, Gian Carlo Brignole e Agostino Airolo (il Donati e
l’Airolo furono contagiati dall’epidemia del 1656 - 1657, e non riuscirono a
portare a termine il loro mandato); anche su questo episodio il De Simoni ci
fornisce un suo personale giudizio: ma è
fatale che agendo in commissione non si concluda mai nulla. Uno infatti voleva
procedere solo a restaurarla, un altro alla ricostruzione totale, il terzo era
di parere contrario68.
Finalmente il 20 luglio 165869vi fu la posa (o la
benedizione) della “prima pietra” (ormai erano rimasti pochi ruderi: nell’anno
1657, nella festa liturgica dei Santi Nazario e Celso seguì una burrasca di mare così fiera, ed una innondazione di terra
così impetuosa, che rovesciò affatto suddetta antica chiesa, ed i libecci la
spiantarono dai fundamenti70)
da parte dell’Abate Saluzzo, arciprete di San Lorenzo assistito dai frati
conventuali dei San Francesco d’Albaro.
Il 28 luglio 1659 (o 1689) la chiesa fu riaperta al culto: fu
costruita71ad
una sola navata e fu posta al fianco della Torre Saracena72così come si vede dalle
immagini, a noi pervenute, della seconda metà dell’Ottocento. Le dimensioni73di questa chiesa erano
assai più modeste della precedente romanica: la navata era lunga, compreso il
coro quadrato con due “cappelle sfondate” (altari minori) ai lati, circa
quattordici metri ed era larga circa sette metri.
LE ULTIME NOTIZIE74
L’unica notizia del
XVIII secolo ci giunge dallo scritto dei Remondini, i quali ci riferiscono che
nel 1746 la chiesa è ancora aperta
al culto, ma nella seconda metà dello stesso secolo la chiesa, dalla parte del
mare, dopo cento anni di vita si ritrova in cattivo stato di manutenzione. Dopo
la data sopra citata la chiesa si trovò di nuovo in stato di abbandono: in una
mappa75datata 1860, la chiesa
risulta come chiesa rovinata e nel gennaio
1866 è una casa privata, trasformata
dalla famiglia Quartara che nei pressi aveva le sue proprietà. Nei primi anni
del Novecento (1910 – 1914) la chiesa fu demolita, a seguito di variazioni
urbanistiche, per far posto all’attuale “passeggiata a mare” (corso Italia).
A conclusione del mio lavoro (sperando
che possa essere una “buona base” per coloro che in futuro vogliano
approfondire questo argomento), sono convinto di aver “realizzato” il desiderio
dei Remondini facendo “rivivere” la chiesa dei SS. Nazario e Celso: facemmo voti che fosse almeno confermata la
facciata della chiesa per conoscere l’antica postura.
NOTE
(1)
Il testo della lapide è citato da diversi critici tra cui NICOLO’ PERASSO, Memorie e notizie di chiese e opere pie di
Genova, manoscritto, c. 246 – 249 A.S.G., Manoscritti secolo XVIII, numero 844 (si conserva incorporata in poca distanza dal Piedistallo
dell’antichissima Torre di Albaro) e GIACOMO GISCARDI, Origine delle
Chiese, Monasteri e luoghi pii della città e riviere di Genova, ms. del
XVIII secolo, c. 373 – 374 B.B.G.S.C., MCF
IL 4 (alla parete esteriore di detta
Chiesa). Il Novella (Memorie dei SS
Nazario e Celso, p. 365), fornisce una sua personale trascrizione: Intra conseptum macerie locus diis manibus
dicatus (probabilmente tratta dal Giscardi).
(2)
I DEI MANI (Lat. Manes) nelle
credenze romane, a partire dall’età augustea, sono le anime dei morti (coloro
che in vita erano stati buoni): il culto fu istituito da una delle leggi delle
Dodici Tavole. Sono menzionati per antifrasi (come le Erinni), essendo mani una vecchia parola latina che
significa “i Benevolenti”. Così ci si accattivava il loro favore soltanto col
nominarli, con innocente adulazione. Si offrivano loro vino, miele, latte ed
altri alimenti e fiori. Due feste erano particolarmente consacrate a loro: i rosaria (o violaria) durante le quali si fiorivano le tombe di rose o di
viole, e i parentalia (o feralia), celebrati dal 13 al 21
febbraio. L’usanza dei parentalia passava per essere stata introdotta in Italia
da Enea, che l’aveva istituita in onore di suo padre Anchise. Si tramanda
altresì che un anno, a Roma, si era trascurato di celebrare questa festa: i
Mani si vendicarono invadendo la città, furono placati soltanto dalla
celebrazione dei riti..
(3)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 246r.
(4)
PIERO BARBIERI, Forma Genuae, Genova
1937, TAV. 5.
(5)
FEDERICO ALIZIERI, Guida artistica per la
città di Genova, vol. 1, Genova 1846, p. 583.
(6)
P. NOVELLA, Memorie dei SS Nazario e
Celso, p. 365.
(7)
Lazzaro De Simoni, Paolo Novella, Raimondo Amedeo Vigna, Pietro Paganetti e
Giacomo Giscardi.
(8)
T. O. DE NEGRI, Storia di Genova, p.
151 – 162.
(9)
Il giudizio dell’Alizieri è il seguente: potè
anche essere fatta per tener fronte ai Saraceni che di que’ tempi avean preso a
infestare con ispesse correrie le riviere del mare ligustico.
(10) Miscellaneo di scritture ecclesiastiche
relative a Genova, Codice Cartaceo n° 255, secolo XVII (Biblioteca Universitaria di Genova, MS B VII 28).
(11)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 246r.
(12)
L. DE SIMONI, Le Chiese di Genova, p.
129.
(13)
GIULIO OTTONELLI, Vedute e descrizioni
della vecchia Genova, Genova 1973, p. 12.
(14)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 246r.
(15)
P. NOVELLA, Memorie dei SS Nazario e Celso,
p. 364. CF. ANGELO E MARCELLO REMONDINI, Le
Parrocchie dell’Archidiocesi di Genova, Genova 1893, p. 3.
(16)
D. CAMBIASO, L’anno Ecclesiastico e le
Feste dei Santi in Genova.
(17)
L. DE SIMONI, Le Chiese di Genova, p.
130.
(18)
Giuspatronato (istituto giuridico del diritto canonico) era un diritto concesso
su un altare di una chiesa ad una famiglia. Tecnicamente era il diritto di proteggere nel senso di mantenere e veniva infatti concesso a
chi si faceva carico di dotare
l’altare stesso, cioè donargli soldi e beni immobili dal quale l’altare traeva
rendite.
(19)
G. GISCARDI, Origine delle Chiese, c.
373. P. PAGANETTI, Storia Ecclesiastica
della Liguria: «avanti l’anno 988»
(20)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 246v. Giovanni II fu il Vescovo che trasferì la sede vescovile dalla chiesa
di San Siro a quella di San Lorenzo.
(21)
GIOVANNI BATTISTA SEMERIA, Storia
Ecclesiastica della Liguria dai tempi Apostolici sino al 1838, Torino 1838.
(22)
P. NOVELLA, Memorie dei SS Nazario e
Celso, p. 365.
(23)
AGOSTINO OLIVIERI, Carte e cronache
manoscritte per la storia Genovese esistenti nella biblioteca della R.
Università Ligure, Genova 1855, p. 40. Da G. OTTONELLI, Vedute, p. 10, leggiamo una notizia (non verificata) nella quale si fa cenno ad
un manoscritto, redatto da un certo Argiroffo, per l’acquisto di un terreno,
nel 1345, nei pressi della crosa di San Nazaro.
(24)
Dopo l’opera di demolizione dei primi decenni del Novecento, alcune “persone
devote” proposero di costruire una modesta chiesa in un giardino di via
Quarnaro.
(25)
Archivio di Stato, Archivio Storico del Comune, Archivio Storico Curia
Arcivescovile, Biblioteca Universitaria, Ufficio Cartografico Comune di Genova.
(26)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 246v. P. NOVELLA, Memorie dei SS
Nazario e Celso, p. 365. Si è riscontrata ulteriormente la data del 1 aprile 965 (riportata anche dagli
studi redatti negli anni Settanta del secolo precedente), ricavata dal Belgrano
(Atti Società Ligure di Storia Patria,
VOL. II, p. 14, Genova 1871), il quale precisa che il passo relativo alla
chiesa era scritto con altro inchiostro
sulla pergamena raschiata.
(27)
F. ALIZIERI, Guida artistica, p. 583.
Anche gli “esperti” dell’Ufficio Storico delle Belle Arti del Comune di Genova
citano la data del maggio 987.
(28)
A. M. REMONDINI, Le Parrocchie
dell’Archidiocesi di Genova, p. 3.
(29)
LUIGI TOMMASO BELGRANO, Atti Società
Ligure di Storia Patria, VOL. II, p. 27, Genova 1871.
(30)
F. ALIZIERI, Guida artistica, p. 582.
CF. L. T. BELGRANO, Atti Società Ligure di
Storia Patria: Cum decimis et
primiciis ad supradictam Ecclesiam pertinentibus, per fines et spacia locorum a
flusio Vesano usque rivo Vernazola et a via publica usque in mare. CF.
Manoscritto Biblioteca Universitaria, N° 255, Miscellaneo di scritture ecclesiastiche: Domenicalij, quae ipsi qui abitavi, et habitaverint in Civitate Januae
et in Burgo, et in Castro, in praesentibus quod in futuris temporibus a flumine
Besagni usque flumen Sturlae.
(31)
Dal manoscritto della Biblioteca Universitaria di Genova (vedi nota
precedente), si apprende che il periodo di permanenza di queste monache è da
fissare tra l’anno 968 e 972.
(32)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 246v.
(33)
Simbolicamente il credente si lasciava alle spalle il buio, le tenebre del peccato,
e varcata la porta della chiesa, poteva finalmente sperimentare la luce di Dio.
Questa luce irrompeva soprattutto da un grande rosone posto al centro
dell’abside, che come accade di norma nelle chiese romaniche è rivolta a
Levante, al sorgere del sole.
(34)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 246v.
(35)
A.S.G., Notari Antichi – Magister
Salomonis, Cartolare – n° generale d’ordine 14, c. 175, atto 872 . L’atto menzionato è stato
ricavato dal già citato manoscritto presente nella biblioteca dell’Università
di Genova.
(36)
E’ citato in tre diversi atti, rispettivamente del 1225, 1228 e 1240 (A.S.G.,
Archivio Segreto, Santo Stefano, N°
1510, documento 244, 226 e 204). E’
altresì presente in cinque documenti datati 2 dicembre 1224, 17 dicembre 1225,
30 novembre 1227, 30 luglio 1229 e 22 febbraio 1231 (A.S.G., Archivio Segreto, Santo Stefano, N° 1509).
(37)
A.S.G., Archivio Segreto, Santo Stefano,
N° 1509, documento 192.
(38)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 246v.
(39)
A. M. REMONDINI, Le Parrocchie
dell’Archidiocesi di Genova, p. 4.
(40)
All’Archivio di Stato di Genova sono consultabili i cartolari del notaio Magister Salomonis, ma non sono presenti
rogiti nella data evidenziata: l’atto è comunque stato trascritto dallo stesso
copista che redasse il manoscritto del XVIII secolo già precedentemente citato.
(41)
Miscellaneo di scritture ecclesiastiche.
C.F. AGOSTINO OLIVIERI, Carte e cronache
manoscritte, p. 221.
(42)
Il Syndicatus è una procura che il
clero dell’Arcidiocesi Genovese, fece nei confronti del Prete Rollando Della
Pietra, Cappellano della Metropolitana, com’è attestato negli atti del Notaio
Leonardo De Garibaldo in data 7 giugno 1311. CF. Giornale Ligustico, p. 6, Genova 1879.
(43)
D. CAMBIASO, L’anno Ecclesiastico e le
Feste dei Santi in Genova.
(44)
LUIGI TOMMASO BELGRANO, Illustrazione del
Registro Arcivescovile in Atti Società Ligure di Storia Patria, VOL. II, p.
363, Genova 1871.
(45)
E’ un diritto reale di godimento su un fondo di proprietà
altrui, secondo il quale, il titolare (enfiteuta) ha la facoltà di godimento
pieno (dominio utile) sul fondo stesso, ma per contro deve migliorare il fondo
stesso e pagare inoltre al proprietario (concedente) un canone annuo, sotto pena di
decadenza della concessione. Nell’Altomedioevo per la costituzione
dell’Enfiteusi era richiesta la forma scritta; più tardi si fuse con il
livello.
(46)
Ente ecclesiastico costituito in seguito a donazione o lascito da parte di un
fedele, le cui rendite sono destinate al culto.
(47)
Questo atto non può essere verificato in quanto nella Pandetta 26,
dell’Archivio di Stato di Genova, non risultano atti in capo a detto notaio per
l’anno in questione.
(48)
P. NOVELLA, Memorie dei SS Nazario e
Celso, p. 376.
(49)
Da un manoscritto della Biblioteca dell’Università di Genova (MS. C.VII.33, cc.
47 – 48) apprendiamo: presbitero
Bartolomeo Boero da Portamaurizio della Diocesi di Albenga.
(50)
Ibidem, p. 365
(51)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 247r.
(52)
A.S.G., Notari Antichi – Bernardo Usodimare
Granello, filza 12 – n° generale d’ordine 1742. CF. Miscellaneo di scritture ecclesiastiche, c. 9.
(53)
L. DE SIMONI, Le Chiese di Genova, p.
131.
(54)
A. OLIVIERI, Carte e cronache manoscritte,
p. 221. L’autore cita che il 5 marzo 1534 il Giuspatronato della chiesa viene
concesso dal Vicario Arcivescovile a Bartolomeo Lomellini da Passano. La stessa
notizia viene ripresa anche dai Remondini (Le
Parrocchie dell’Archidiocesi di Genova, p. 4). CF. A.S.G., Notari Antichi – Bernardo Usodimare Granello,
filza 8 – n° generale d’ordine 1738, Atto
87bis.
(55)
P. NOVELLA, Memorie dei SS Nazario e
Celso, p. 365.
(56)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 247r. Dal Novella abbiamo la seguente versione: trovandosi poi il detto Boero sprovvisto di mezzi onde riparare a
quella rovina, gravato di pagare dieci ducati di pensione accordata al Vescovo
di Savona, e lire quattro pure annue alli Monaci di S. Stefano.
(57)
P. NOVELLA, Memorie dei SS Nazario e
Celso, p. 376.
(58)
Cf. gli scritti del Remondini, del Novella e del De Simoni. Il Perasso cita la
data del 1540.
(59)
A.S.G., Notari Antichi - Bernardo
Usodimare Granello, filza - n° generale d’ordine 1744, Atto nº 176.
(60)
Dal Perasso (Memorie e notizie di chiese,
248r – v), leggiamo parte della Bolla; la trascrivo integralmente: Et sicut exibita vobis nuper pro parte
dilecti filiorum Guardiani et fratrum domus S, Francisci dictae villae ordinis
Fratrum Minorum conventualium petitio continebat Ecclesia predicta propter
illius nimiam vetustatem ac fluctus maris eiusdem cui adhaeret eam sepius
concurrentium impetum pro maiori parte dirupta illiusque domus Presbiteralis
funditus collaspa sunt, ita quod propterea Rector eiusdem Ecclesiae pro tempore
… in villa residere equità et nisi ei de oportuno previsionis remedio
succurratur proculdubio totalis illius ruina prope diem eveniet in divini
cultus diminuzione: verum si dicta Ecclesia cuius fructus redditus et proventus
adeo tenues existunt utpote duecento rum ducato rum auri de camera non
excedentes et ex quibus census pensio trium librarum monetae Januensis
Monasterio S. Stephani annis singulis persolvitur et super illis pensio annua
sex ducato rum auri similium Venerabili fratri nostro Odoardo Episcopo
Sagonensi illam annuatim percipienti Apostolica auctoritate exiscit ut ad
sustentationem unius semplici sacerdoti vix suppetant.
(61)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 247r.
(62)
Dall’Alizieri apprendiamo quanto segue: succedonsi
per serie interrotta cotali ministri o Rettori fino al 1544, finché per uffizi
del nob. Giustiniano Salvago,
trasmessi gli uffizi della parrochia alla Chiesa de’ Conventuali, n’andò questa
a poco a poco in disuso; come riferito anche dai Remondini, il nome certo è
Giuliano.
(63)
DOMENICO PIAGGIO, Epitaphia, sepulcra et iscriptiones cum stemmatibus,
marmorea et lapidea existentia in ecclesibus Genuensibus”, tomo VII, manoscritto 1720: tale iscrizione non
risulta.
(64)
G. GISCARDI, Origine delle Chiese, c.
374. CF. G. ODICINI, L’Abbazia di Santo
Stefano, p. 68.
(65)
Il fatto di veder citato Bisagno,
probabilmente, ci indica che il Giscardi conosceva gli scritti dello
Schiaffino. La stessa notizia è riferita anche dal Paganetti. Dai manoscritti
dei Padri del Comune, apprendiamo che
la zona della chiesa è definita come Bisagno
– Quartiere dei SS. Nazario e Celso (collocazione 29-45, proclama del 10 luglio 1568;
collocazione 26-47, proclama del 12
giugno 1563).
(66)
L. DE SIMONI, Le Chiese di Genova, p.
131.
(67)
A. S. G., Manoscritti, N° 547.
(68)
L. DE SIMONI, Le Chiese di Genova, p.
131.
(69)
Il Perasso, rispetto alla sua consueta attendibilità storica, commette errori
di trascrizione nelle date: cita dapprima il 1688 (vedi Manoscritto Biblioteca Universitaria) e successivamente pone al 18 dicembre 1655 il termine della
costruzione; per la data della benedizione riporta la data del 30 settembre
1658, il tutto alla presenza dell’Abate Saluzzo e di fra Francesco Oltrachino
(nato nel 1635 e morto nel 1731)
(70)
P. NOVELLA, Memorie dei SS Nazario e
Celso, p. 376. CF. Manoscritto Biblioteca Universitaria.
(71)
Intervennero il Collegio dei Notai (con cento scudi d’argento), Gabriele
Durazzo e Luigi Salvago.
(72)
N. PERASSO, Memorie e notizie di chiese,
c. 247v: Il 4 settembre fu aperta una
picciola finestrella per la parte di dento nel piedistallo della Torre predetta
che in questa 3ª erezione con decreto del Principe restò incorporata ed
attaccata alla Chiesa.
(73)
A. M. REMONDINI, Le Parrocchie
dell’Archidiocesi di Genova, p. 4.
(74)
Idem, p. 6.
(75)
A.S.G., Tipo di una porzione di spiaggia
di San Bernardo alla Foce del Bisagno (1860) – Collocazione D.01.16.GC.6
(141).
APPENDICE – Elenco dei
Rettori
Secolo XIII
1224 Prete
Gandolfo (vedi capitolo 2)
Si ha pure notizia di un certo Prete Corrado (indicato come
minister ecclesiae Sancti Nazarij) : è citato in alcuni documenti del 1222
(quattro atti del notaio Magister Salomonis), del 1226 (quattro atti Magister
Salomonis) e del 1250 (atto del 10 dicembre 1250 notaio Bartholomeus Fornarius)
Secolo XIV
1311 Prete Ugo (Syndicatus – Leonardo De Garibaldo 7 giugno
1311)
1342 Prete Giacomo Malagamba di Albaro (?) (“fondatore” Cappellania)
1346 Prete Egidio (citato nelle Compere del Sale)
1352 Prete Agostino Da Camogli (rinuncia nel 1354)
1354 Prete Giovanni Da Camogli (rinuncia nel 1362)
1362 Prete
Antonio Da Rapallo (rinuncia
nel 1382?)
1385 – 1435 NESSUNA NOTIZIA
Secolo XV
1435 Prete Giacomo Aschero (rinuncia
nel 1467, 1469 †)
1467 Prete Giovanni de Vartio (Atto Andrea De Cairo 4
agosto 1467 – atto n° 228)
(Mandato con atto Andrea De Cairo 15 ottobre
1469 – atto non verificato, 1477 †)
1477 Padre Antonio (Atto Andrea De Cairo 24 ottobre
1477 – atto n° 125,
rinuncia 1479)
1479 Prete Terenzio (?) (Atto 20 maggio 1479, 1485 †)
1485 Prete Domenico Valetaro (rinuncia atto Andrea De
Cairo 5 gennaio 1490 atto n° 6)
1490 Prete Pietro da Bazenghi (Bolla Pontificia Innocenzo
VIII 15 novembre 1490 e
Atto
Baldassarre De Coronato 23 agosto 1491 – atto
406, 1501 †)
Secolo XVI
1501 Prete Bernardo De Cagnolo (Atto
Baldassarre De Coronato 12 febbraio 1501?, 1504†) 1504 Prete Nicolò Cabella (Atto
Urbano Granello 27 febbraio 1504 – non verificato,
rinuncia 1516)
1516 Padre Marco Da Valenza (?) (Atto Baldassarre De Coronato 10
luglio 1516 – atto n°
238, rinuncia 1519)
1519 Prete Stefano (Bolla Pontificia Leone X del 1
novembre 1519 e
Atto Bartolomeo Podestà
non verficato, 1526 †)
1526 Prete Giuliano Salvago (Atto Vincenzo
Molfino 15 gennaio 1526 non verificato,
rinuncia alla fine del 1528 con Atto Bernardo
Usodimare Granello 16 dicembre – atto n°
364)
1528 Prete Nicolò Castellini Da Panareto (Atto Bernardo Usodimare Granello 28 febbraio 1529
non verificato, fino al
1539)
1539 – 1540 SEDE
VACANTE
1540 Padre Simone Granelli Castiglione (Atto Bernardo Usodimare Granello 7
dicembre 1540,
1543 †)
1543 Prete
Bartolomeo Boero (vedi
capitolo 3)
BIBLIOGRAFIA
ACCINELLI FRANCESCO
MARIA, “Liguria Sacra”, manoscritto
1750 ca.
ACCINELLI FRANCESCO MARIA, “Scielta di
notizie della Chiesa di Genova e sua diocesi delle parochie, in
essa,
e suo territorio esistenti”, manoscritto 1744 ca.
ALIZIERI
FEDERICO, “Guida Artistica per la cittá di Genova”, Genova 1846 e 1875.
BARBIERI PIERO, “Forma Genuae”, Genova 1937.
CAMBIASO DOMENICO, “L’Anno Ecclesiastico e
le Feste dei Santi in Genova, nel loro svolgimento storico”,
Genova
1917.
Cartario Genovese,
in Atti della Società Ligure di Storia Patria,
Vol. II, Genova 1870.
CHITTOLINI GIORGIO, “Ora et Labora – I monasteri e la vita economica sociale” in Storia
della Economia
mondiale
del Sole 24 ORE (2009).
DE SIMONI LAZZARO, “Le
Chiese di Genova”, Genova 1948.
GISCARDI GIACOMO, “Origine delle Chiese,
Monasteri e luoghi pii della città e riviere di Genova”,
manoscritto
secolo XVIII.
GIUSTINIANI AGOSTINO,
“Annali della Repubblica Genova”, Genova 1537 (riedizione del 1846).
GUERELLO FRANCO, “Lettere di Innocenzo IV”, Genova 1961.
Illustrazione del
Registro Arcivescovile, in Atti della Società Ligure di Storia Patria,
Vol. II, Genova 1871.
Medioevo Demolito Genova 1860 – 1940,
Genova 1990.
NOVELLA PAOLO, “Settimana
Religiosa”, Anni: 1931.
ODICINI GIOVANNI, L’Abbazia di Santo Stefano, Genova 1974.
OLIVIERI AGOSTINO, “Carte e cronache manoscritte per la storia di Genova, esistenti nella
Biblioteca
della
R. Università Ligure”, Genova 1855. (in formato
digitalizzato)
OTTONELLI GIULIO, Vedute e descrizioni della vecchia Genova,
Genova 1973.
PAGANETTI PIETRO, “Storia ecclesiastica della Liguria”,
Roma 1766.
PERASSO NICOLO’, “Memorie
e notizie di chiese ed opere pie di Genova”, manoscritto 1770 ca.
PIAGGIO DOMENICO, “Epitaphia, sepulcra et
iscriptiones cum stemmatibus, marmorea et lapidea existentia in
ecclesibus
Genuensibus”, tomo VII, manoscritto 1720. (in formato digitalizzato)
RATTI CARLO GIUSEPPE,
“Istruzione di quanto può vedersi di più
bello in Genova”, Genova 1780.
REMONDINI ANGELO E
MARCELLO, “Le Parrocchie
dell’Archidiocesi di Genova”, Genova 1893.
SEMERIA GIOVAN
BATTISTA, “Storia ecclesiastica di Genova
dai tempi apostolici al 1838, Genova 1838.
SCHIAFFINO AGOSTINO,
“Annali Ecclesiastici della Liguria”, manoscritto del secolo XVIII.
SCHIAFFINO AGOSTINO,
“Conventi, monasteri chiese e ordini religiosi”, manoscritto del secolo
XVIII.
Syndicatus Ecclesiae Januensis MCCCXI
in Giornale Ligustico, Genova 1879.
VITALE VITO, “Breviario Storia di Genova”, Genova
1955.
Nessun commento:
Posta un commento