lunedì 6 aprile 2015

UNA FAMIGLIA DELL'ANTICA FOCE

Matilde Arduino e Giorgio Olivari

   La famiglia della Foce che qui presentiamo è la nostra. Essa ha seguito un percorso comune a molte famiglie italiane: la graduale ascesa dal basso proletariato ad una condizione più dignitosa nel lavoro e nella cultura.
   In ricerche di questo genere, i ricordi dei nonni sono una fonte preziosa, ma riguardano solo vicende relativamente recenti. Per guardare indietro nel passato i dati anagrafici sono disponibili a partire dall'Unità d'Italia (1860); più indietro ancora, è necessario rivolgersi alle parrocchie, consultando i registri dei battesimi e dei matrimoni, nonché i cosiddetti "censimenti" ovvero "registri delle anime". Sono elenchi, un po' confusi e con molti errori, compilati in occasione delle benedizioni delle case, che riportano i nomi dei parrocchiani e dei figli
   Sfogliando il registro delle anime della parrocchia di Albaro si può ritenere che gli Arduino siano comparsi in Albaro tra il 1600 e il 1700; provenivano probabilmente da Genova,  dove questo cognome era frequente (è citato nel '500 un Arduino importatore di arazzi dalle Fiandre) o dalla riviera di Ponente, dove pure vi erano molti Arduino, specie ad Albenga.  Da notare che oggi questo cognome a Genova è quasi scomparso: nell'elenco del telefono se ne contano appena 27, mentre nel censimento del 1871, con una popolazione di gran lunga inferiore, occupano diverse pagine. Sono molto frequenti gli omonimi: i nomi Stefano, Domenico, Antonio ricorrono in continuazione; probabilmente le diverse famiglie derivano da un ceppo unico e si sono tramandate i nomi degli antenati.

Il primo documento sulla nostra famiglia che abbiamo rintracciato è questo:
     Archivio Storico del Comune di Genova.
     Stato nominativo degli  abitanti del Comune di S. Francesco di Albaro - 1823.
     In località Beverato risulta la famiglia di:  
Arduino Domenico quondam Stefano - capofamiglia. - contadino - anni 51
   Pasqualina              - moglie     anni 47      
               Giuseppe                - figlio       anni  27
               Benedetto               - figlio       anni 25
               Benedetta               - figlia        anni 14
               Angela                   - figlia        anni 12  
              Antonio                   - figlio       anni 10
              Maddalena              - figlia        anni  5

Via Beverato, oggi scomparsa, collegava la riva del Bisagno alla collina di Albaro, con-giungendosi qui con via Lavinia. All'inizio della salita di Albaro, a muntà d'Arbà , una fontanella ancora esistente serviva da abbeveratoio, da cui il nome Beverato.



   Il  caso ha voluto che proprio questa zona  sia rimasta eternata in una vecchia fotografia che riproduciamo. Si vedono, in alto, le prime ville di Albaro e le case che si affacciano su via Lavinia; la strada a destra,  che sale in curva verso Albaro, è via Beverato. E' possibile quindi che uno degli orti visibili nella foto sia proprio quello di Domenico.
Tutta la zona è stata intensamente urbanizzata alla  fine dell'800: la piana in basso  è diventata Piazza Tommaseo; le coltivazioni e le case visibili, eccetto la villa cinquecentesca in alto a destra, già residenza di Byron, sono state sostituite da palazzi di abitazione.

   Gli Arduino sono dunque una famiglia di “bisagnini” che coltivavano verdura dove oggi c’è piazza Tommaseo. Hanno molti figli, come usava al tempo, e sono probabilmente analfabeti.

   Seguiamo le vicende di Antonio, che aveva 10 anni all’epoca del documento citato.
Nei Registri Portuali del 1851 Arduino Antonio fu Domenico, abitante in via Lavinia 47, risulta iscritto nel ruolo dei facchini diversi del Ponte Reale.
Antonio è dunque uno scaricatore di porto, uno dei famosi "camalli"  della Compagnia dei Caravana, che hanno avuto tanta importanza, nel bene e nel male, nella storia della città. Ponte Reale, oggi non più esistente, era uno dei moli del porto, così chiamato per un vicino Rià (rigagnolo). Nei registri sono suddivise le varie specialità: facchini da grano, da vino, da olio, facchini diversi (ossia scaricatori di merci varie), ecc.
  Da notare che quasi tutti avevano un soprannome, puntualmente segnato nel registro: abbiamo così trovato, a Ponte Spinola,  un  Arduino Antonio fu Andrea di Albaro detto "Meizanetta", un Arduino Giobatta fu Pietro di Albaro detto "Catrame", un Arduino Angelo di Gaetano, di Albaro, detto "Guadagnapoco"
Il nostro Arduino Antonio fu Domenico ha in bianco la casella del soprannome; non sappiamo se interpretarlo in senso positivo o negativo….  Certo è che tutto un plotone di cugini Arduino di Albaro lavorava in porto, e questo contrasta con quanto si è sempre creduto a Genova, che tutti i Caravana provenissero, per antica tradizione, dall’Emilia. 

   Via Lavinia era una Crosa, una stradicciola che da Albaro portava al mare, alla Foce, serpeggiando fra i muri di cinta degli orti. Era antichissima (vi sorgeva la chiesa di S.Vito, anteriore all'anno Mille); lo strano nome le è stato dato verso il 1870 da un sindaco amante della mitologia. Via Lavinia c'è ancora, e in un breve tratto è rimasta invariata come ai tempi di Antonio; attualmente il num. 47 corrisponde ad una antica villa patrizia, dal lato mare.
    Nel registro di leva 1832 del Comune di Albaro Antonio è messo in fine di lista perché “figlio unico di madre vedova”. In così breve tempo, tra il ’23 e il ’32, i suoi tre fratelli sono dunque morti? E’ rimasta nella storia l’epidemia di colera a Genova, che ha avuto il culmine nel 1835, ed è forse possibile che abbia cominciato a manifestarsi già a quell’epoca.
    Nel 1843 Antonio si sposa nella Chiesa di San Pietro alla Foce. Nella stessa Chiesa sono battezzati i suoi figli Alberto, Giuseppe, Teresa, Paola. È perciò probabile che da Albaro sia venuto ad abitare alla Foce, pare in via Fogliensi. Risulta però morto in via Lavinia; potrebbe Antonio, pensionato, essere tornato a fare il colono o il giardiniere di una villa.

   Alberto Arduino, figlio del precedente,  nasce nel 1851 nel comune di Foce.
Qui si fanno vivi i ricordi di famiglia perché Alberto è nonno della nostra Matilde.
In famiglia si è sempre detto con sicurezza che la prima abitazione è stata in via Fogliensi, alla Foce. Di questo non siamo riusciti a trovare traccia all'anagrafe; però, come già detto, ne abbiamo una prova indiretta per il fatto che Antonio si è sposato e i suoi figli sono stati  battezzati a S. Pietro, parrocchia della Foce, mentre via Lavinia è nella parrocchia di Albaro. Alberto lavorava di giorno  presso un orefice  e di notte, nel tempo libero, andava a pescare.
Quasi tutti, alla Foce, facevano i pescatori come secondo lavoro. Ha anche potuto comprarsi una propria barca, di cui era  orgoglioso, segno che la pesca non era solo un passatempo, ma un mezzo  per aumentare le entrate.



   Chissà che in questa foto, tra le barche che si vedono sulla spiaggia, non vi sia  proprio la sua!  L'epoca della foto sarebbe appropriata. Sulla destra in alto si vede la via Fogliensi, che sale alla Chiesa di S. Pietro dai tre caratteristici archi.
    Alberto ha conosciuto  Angela, poi sua moglie, presso  il laboratorio di orefice dove  entrambi  lavoravano come dipendenti (secondo un'altra versione, Angela era stiratrice assieme alla sorella Vittoria. Potrebbero essere valide entrambi: Angela aver iniziato a  lavorare con la sorella e in seguito essersi impiegata presso l'orefice)
   Gli sposi hanno inizialmente abitato in via di Brera 14, a Genova, vicino alla famiglia di Angela, e qui sono nati i loro sette figli: Antonio, Clelia, Dario, Amelia, e i gemelli Maddalena (Mery) e Mario, battezzati alla chiesa della Consolazione, ora in via XX Settembre.
   Una leggenda racconta  di un cugino misterioso, di cui non abbiamo trovato traccia all'anagrafe. Orfano ancora  giovane, viene allevato, o per lo meno seguito e aiutato, dallo zio Alberto. Pare  che sia  un marittimo. Osa fare la corte alla cugina Clelia. Scandalo! È allontanato da casa, sparisce nel nulla e persino il suo nome viene cancellato dalle memorie di famiglia. Clelia rimane malinconicamente zitella.
   Verso il  1899 la famiglia ritorna alla Foce, in un appartamento di Corso Torino 15 (ora 44, è cambiata la numerazione della via).
   Alberto, dapprima garzone presso un orefice, si è  presto messo  in proprio ed ha aperto un laboratorio con vendita nella propria abitazione, aiutato dalla moglie.
   Nei primi del '900, pur mantenendo la fabbrica in casa, ha iniziato l'attività commerciale aprendo un negozio di oreficeria  e filigrana in Via Garibaldi.
   Importante è stato il ruolo dei figli maggiori, Antonio e Clelia, nell'affiancarsi ai genitori (quasi li hanno sostituiti) aiutando ad allevare i fratelli più piccoli. Antonio, in particolare, era già universitario quando gli altri erano ancora scolari, li aiutava e seguiva nello studio. Si è iscritto a Medicina nel 1893 e  laureato nel 1900 - il primo laureato della famiglia. Medico militare nel Veneto nella Prima Guerra Mondiale, ha qui ha trovato l’amore. Ha ambientato la sua vita a Treviso, in quella città  è ancora oggi ricordato come medico e come benefattore, e ha generato una folta stirpe di Arduino trevigiani, che non dimenticano di essere originari della Foce di Genova….
   Tra i maschi il più legato alla famiglia è rimasto Mario, u Marietu, papà di Matilde.  Antonio era amato, ma ormai lontano da casa. Dario era la pecora nera della famiglia (sospiro): si sussurra che addirittura abbia osato qualche volta uscire a passeggio la sera dopo cena; le sorelle lo attendevano trepidanti alla finestra per aprirgli silenziosamente la porta in modo che il padre, già a letto, non sentisse a che ora stava rientrando.       
  Mario ha poi sposato la vicina del piano di sopra, Armida Sbarbori, ed ha potuto  continuare a vivere vicino alla madre e alle sorelle.  Anche Dario, il nottambulo, si sposerà (con una filigranista del laboratorio) e avrà  tre figli.            
   Entra ora in scena quello che a Genova si chiamava lo stagnino, o il lattoniere; in termini moderni, l'idraulico. Giovanni Moltini  girava per le case portando a tracolla, con la cinghia, la cassetta degli attrezzi. Caparbio e lavoratore come Alberto, inizia una produzione di tubi di piombo; l'azienda è chiamata La Piombifera e viene intestata ai figli Pietro e Fausto.
   Elisa,  sorella dei due, fa conoscenza in parrocchia con Albina Arduino, sua coetanea. Le due famiglie diventano amiche; u Marietu, ragioniere, viene assunto alla Piombifera e con il tempo ne diventa il direttore amministrativo. Pietro corteggia Mery, ma pare che il giovanotto sia ateo, e papà Alberto proibisce la relazione. Anni dopo è il turno di Fausto, che corteggia Amelia, e questa volta il padre lo accetta, perché buon cristiano.  Amelia è l'unica delle ragazze che riesca a sposarsi. (anche Albina ha avuto un pretendente,  u Gianchin,  un geometra che lavorava alla costruzione della casa vicina, ma anche questo è stato cacciato dall'inflessibile genitore).

   Il negozio degli Arduino, in via Garibaldi, ha avuto un successo che è continuato nel tempo: aveva clienti tra le famiglie nobili e fra le autorità cittadine. La via, infatti, è una delle strade più prestigiose di Genova, realizzata nel '500, in cui si allineano i palazzi del patriziato genovese. Uno di questi, palazzo Tursi, è ora sede del municipio, e proprio in un’ala di questo palazzo è situato il negozio.
   Tra le varie iniziative era stata collocata una vetrinetta nell'hotel Mediterranée di Pegli, a quel tempo uno dei più lussuosi. Pare anche che il cugino misterioso, di cui abbiamo già parlato,  si incaricasse di salire a bordo delle navi, in porto, per vendere gli oggetti ai passeggeri.
   Morto Alberto, la figlia Mery  fino al 1971 è stata titolare del negozio, conosciuto  come il "negozio delle Sorelle Arduino". Sebbene solo Mery vi lavorasse, aveva un particolare puntiglio nel volere che le tre sorelle fossero sempre menzionate assieme, e si offendeva se qualche fornitore indirizzava alla signorina Maddalena Arduino anziché  alle sorelle signorine Arduino.
   Mery nel 1971, ormai ottantenne, ha ceduto il negozio ad una commessa, alla condizione esplicita che tutto rimanesse come prima, e che, se fosse passato nuovamente di mano, i successori si impegnassero a non modificare nulla.
   Può sembrare incredibile: un secondo e poi un terzo passaggio ci sono stati davvero, eppure il negozio ancora esiste senza il minimo cambiamento: piccolo, sovraccarico, sempre lo stesso arredo,  oggetti di grande valore mescolati a bigiotteria e a curiosità esotiche, vetrina non rifatta da anni. Andatelo a vedere, vi troverete in pieno 1910….
   Era nota in tutta Genova la Pina, la commessa Giuseppina Occhiuto,  che essendo piccolissima di statura,  si vestiva  e pettinava come una bambina ancora a ottant'anni (a chi, vedendola,  chiedeva stupito: - Ma quanti anni ha? -  la Mery rispondeva, serafica: - Di spirito, è una bambina…. )
   Negli anni Trenta, in collaborazione con la parrocchia, Mery e Pina hanno iniziato a fare assistenza, nel negozio stesso, ai bambini  poveri della zona: il quartiere della Maddalena, a due passi dalle architetture sontuose di Via Garibaldi, era ed è tuttora uno dei più degradati sul piano urbano e morale. Collocati nel negozio due banchi  tipo scolastico  (Mery e Pina avevano  entrambe  il  diploma  di  maestra),  i bambini, a turno, erano  aiutati  nei compiti,  preparati  alla   Prima   Comunione,  avevano la merenda e a volte qualche provvista per casa.  Due bambini con gravi problemi familiari erano stati  messi in collegio, seguiti e visitati con affetto materno. Con la stessa sollecitudine era stata seguita una bambina malata, poi morta all'ospedale.
   Durante la guerra alcune famiglie avevano perduto la casa nei bombardamenti e vivevano nella vicina galleria che era stata adibita a rifugio antiaereo, a poca distanza dal negozio.           Ogni giorno all'ora di pranzo Pina portava  loro un pasto caldo.
    La fedelissima Pina, che per quasi 40 anni ha abitato assieme alle sorelle Arduino, è morta  nel 1996 a 96 anni nella casa di Corso Torino, ultima  testimone di un mondo ormai scomparso.
   È  un luogo comune dire che tutte le donne oggi lavorano, mentre in altri  tempi se ne stavano in casa a fare la signora o almeno la massaia. Questo non è stato certamente il caso delle nostre donne: nella nostra ricerca abbiamo incontrato contadine, ricamatrici, filigraniste, negozianti, maestre… abbiamo scoperto che tutte le Arduino lavoravano!
   Da quei vecchi documenti trapelano i profili di donne capaci e coraggiose che non si limitavano a curare la casa e allevare stuoli di figli,  ma erano a fianco dei loro uomini e contribuivano con loro, e quanto loro, al bilancio famigliare. A distanza di secoli, le  sentiamo moderne e vicine al nostro modo di pensare.
  È evidente che il personaggio di spicco, nella galleria che abbiamo visitato, è Alberto Arduino: il figlio del camallo ha saputo fondare un'azienda, avere appartamenti, barca, casa di vacanza; ha allevato sette figli, portandone quattro al diploma e uno alla laurea.



   Piccolo di statura, leggermente claudicante, due imponenti baffi, è stato un lavoratore instancabile, di rigidi costumi, severo, rispettato ma amato dai figli, che sempre lo hanno ricordato con ammirazione. Molti nipoti e pronipoti sono laureati, uno è docente alla Facoltà di Ingegneria a Padova.
   La famiglia dei bisagnini è riuscita a fare davvero molta strada dall’orto di Beverato….






1 commento:

  1. Che scoop!!
    Leggo che mio nonno era considerato ateo... chiederò a mia mamma, speriamo non le venga un colpo!! :-)

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