Matilde Arduino e Giorgio Olivari
La famiglia della Foce che qui presentiamo è la nostra.
Essa ha seguito un percorso comune a molte famiglie italiane: la graduale
ascesa dal basso proletariato ad una condizione più dignitosa nel lavoro e
nella cultura.
In ricerche di questo
genere, i ricordi dei nonni sono una fonte preziosa, ma riguardano solo vicende
relativamente recenti. Per guardare indietro nel passato i dati anagrafici sono
disponibili a partire dall'Unità d'Italia (1860); più indietro ancora, è necessario
rivolgersi alle parrocchie, consultando i registri dei battesimi e dei
matrimoni, nonché i cosiddetti "censimenti" ovvero "registri
delle anime". Sono elenchi, un po' confusi e con molti errori, compilati
in occasione delle benedizioni delle case, che riportano i nomi dei
parrocchiani e dei figli
Sfogliando il
registro delle anime della parrocchia di Albaro si può ritenere che gli Arduino
siano comparsi in Albaro tra il 1600 e il 1700; provenivano probabilmente da
Genova, dove questo cognome era frequente
(è citato nel '500 un Arduino importatore di arazzi dalle Fiandre) o dalla
riviera di Ponente, dove pure vi erano molti Arduino, specie ad Albenga. Da notare che oggi questo cognome a Genova è
quasi scomparso: nell'elenco del telefono se ne contano appena 27, mentre nel
censimento del 1871, con una popolazione di gran lunga inferiore, occupano
diverse pagine. Sono molto frequenti gli omonimi: i nomi Stefano, Domenico,
Antonio ricorrono in continuazione; probabilmente le diverse famiglie derivano
da un ceppo unico e si sono tramandate i nomi degli antenati.
Archivio Storico del Comune di Genova.
Stato nominativo degli abitanti del Comune di S. Francesco di Albaro
- 1823.
In
località Beverato risulta la famiglia di:
Arduino Domenico quondam
Stefano - capofamiglia. - contadino - anni
51
Pasqualina - moglie anni 47
Giuseppe - figlio anni
27
Benedetto - figlio anni 25
Benedetta - figlia anni 14
Angela - figlia anni 12
Antonio - figlio anni 10
Maddalena - figlia anni
5
Via Beverato, oggi
scomparsa, collegava la riva del Bisagno alla collina di Albaro,
con-giungendosi qui con via Lavinia. All'inizio della salita di Albaro, a muntà d'Arbà , una fontanella ancora
esistente serviva da abbeveratoio, da cui il nome Beverato.
Il caso ha voluto che proprio questa zona sia rimasta eternata in una vecchia
fotografia che riproduciamo. Si vedono, in alto, le prime ville di Albaro e le
case che si affacciano su via Lavinia; la strada a destra, che sale in curva verso Albaro, è via
Beverato. E' possibile quindi che uno degli orti visibili nella foto sia
proprio quello di Domenico.
Tutta la zona è stata
intensamente urbanizzata alla fine
dell'800: la piana in basso è diventata
Piazza Tommaseo; le coltivazioni e le case visibili, eccetto la villa
cinquecentesca in alto a destra, già residenza di Byron, sono state sostituite
da palazzi di abitazione.
Gli Arduino sono dunque una
famiglia di “bisagnini” che coltivavano verdura dove oggi c’è piazza Tommaseo.
Hanno molti figli, come usava al tempo, e sono probabilmente analfabeti.
Seguiamo le vicende di
Antonio, che aveva 10 anni all’epoca del documento citato.
Nei Registri Portuali del
1851 Arduino Antonio fu Domenico, abitante in via Lavinia 47, risulta iscritto
nel ruolo dei facchini diversi del Ponte Reale.
Antonio è dunque uno
scaricatore di porto, uno dei famosi "camalli" della Compagnia
dei Caravana, che hanno avuto tanta importanza, nel bene e nel male, nella
storia della città. Ponte Reale, oggi non più esistente, era uno dei moli del
porto, così chiamato per un vicino Rià
(rigagnolo). Nei registri sono suddivise le varie specialità: facchini da
grano, da vino, da olio, facchini diversi (ossia scaricatori di merci varie),
ecc.
Da notare che quasi tutti
avevano un soprannome, puntualmente segnato nel registro: abbiamo così trovato,
a Ponte Spinola, un Arduino Antonio fu Andrea di Albaro detto
"Meizanetta", un Arduino Giobatta fu Pietro di Albaro detto
"Catrame", un Arduino Angelo di Gaetano, di Albaro, detto
"Guadagnapoco"
Il nostro Arduino Antonio fu
Domenico ha in bianco la casella del soprannome; non sappiamo se interpretarlo
in senso positivo o negativo…. Certo è
che tutto un plotone di cugini Arduino di Albaro lavorava in porto, e questo
contrasta con quanto si è sempre creduto a Genova, che tutti i Caravana
provenissero, per antica tradizione, dall’Emilia.
Via Lavinia era una Crosa, una stradicciola che da Albaro portava al mare, alla Foce,
serpeggiando fra i muri di cinta degli orti. Era antichissima (vi sorgeva la
chiesa di S.Vito, anteriore all'anno Mille); lo strano nome le è stato dato
verso il 1870 da un sindaco amante della mitologia. Via Lavinia c'è ancora, e
in un breve tratto è rimasta invariata come ai tempi di Antonio; attualmente il
num. 47 corrisponde ad una antica villa patrizia, dal lato mare.
Nel registro di leva 1832
del Comune di Albaro Antonio è messo in fine di lista perché “figlio unico di
madre vedova”. In così breve tempo, tra il ’23 e il ’32, i suoi tre fratelli
sono dunque morti? E’ rimasta nella storia l’epidemia di colera a Genova, che
ha avuto il culmine nel 1835, ed è forse possibile che abbia cominciato a
manifestarsi già a quell’epoca.
Nel 1843 Antonio si sposa
nella Chiesa di San Pietro alla Foce. Nella stessa Chiesa sono battezzati i
suoi figli Alberto, Giuseppe, Teresa, Paola. È perciò probabile che da Albaro
sia venuto ad abitare alla Foce, pare in via Fogliensi. Risulta però morto in
via Lavinia; potrebbe Antonio, pensionato, essere tornato a fare il colono o il
giardiniere di una villa.
Alberto Arduino, figlio del
precedente, nasce nel 1851 nel comune di
Foce.
Qui si fanno vivi i ricordi
di famiglia perché Alberto è nonno della nostra Matilde.
In famiglia si è sempre
detto con sicurezza che la prima abitazione è stata in via Fogliensi, alla
Foce. Di questo non siamo riusciti a trovare traccia all'anagrafe; però, come
già detto, ne abbiamo una prova indiretta per il fatto che Antonio si è sposato
e i suoi figli sono stati battezzati a S.
Pietro, parrocchia della Foce, mentre via Lavinia è nella parrocchia di Albaro.
Alberto lavorava di giorno presso un
orefice e di notte, nel tempo libero,
andava a pescare.
Quasi tutti, alla Foce,
facevano i pescatori come secondo lavoro. Ha anche potuto comprarsi una propria
barca, di cui era orgoglioso, segno che
la pesca non era solo un passatempo, ma un mezzo per aumentare le entrate.
Chissà che in questa foto,
tra le barche che si vedono sulla spiaggia, non vi sia proprio la sua! L'epoca della foto sarebbe appropriata. Sulla
destra in alto si vede la via Fogliensi, che sale alla Chiesa di S. Pietro dai
tre caratteristici archi.
Gli sposi hanno inizialmente
abitato in via di Brera 14, a Genova, vicino alla famiglia di Angela, e qui
sono nati i loro sette figli: Antonio, Clelia, Dario, Amelia, e i gemelli
Maddalena (Mery) e Mario, battezzati
alla chiesa della Consolazione, ora in via XX Settembre.
Una leggenda racconta di un cugino misterioso, di cui non abbiamo
trovato traccia all'anagrafe. Orfano ancora
giovane, viene allevato, o per lo meno seguito e aiutato, dallo zio
Alberto. Pare che sia un marittimo. Osa fare la corte alla cugina
Clelia. Scandalo! È allontanato da casa, sparisce nel nulla e persino il suo
nome viene cancellato dalle memorie di famiglia. Clelia rimane malinconicamente
zitella.
Verso il 1899 la famiglia ritorna alla Foce, in un
appartamento di Corso Torino 15 (ora 44, è cambiata la numerazione della via).
Alberto, dapprima garzone
presso un orefice, si è presto
messo in proprio ed ha aperto un
laboratorio con vendita nella propria abitazione, aiutato dalla moglie.
Nei primi del '900, pur
mantenendo la fabbrica in casa, ha iniziato l'attività commerciale aprendo un
negozio di oreficeria e filigrana in Via
Garibaldi.
Importante è stato il ruolo dei figli maggiori, Antonio e
Clelia, nell'affiancarsi ai genitori (quasi li hanno sostituiti) aiutando ad
allevare i fratelli più piccoli. Antonio, in particolare, era già universitario
quando gli altri erano ancora scolari, li aiutava e seguiva nello studio. Si è
iscritto a Medicina nel 1893 e laureato
nel 1900 - il primo laureato della famiglia. Medico militare nel Veneto nella
Prima Guerra Mondiale, ha qui ha trovato l’amore. Ha ambientato la sua vita a
Treviso, in quella città è ancora oggi
ricordato come medico e come benefattore, e ha generato una folta stirpe di
Arduino trevigiani, che non dimenticano di essere originari della Foce di
Genova….
Tra i maschi il più legato
alla famiglia è rimasto Mario, u Marietu,
papà di Matilde. Antonio era amato, ma ormai lontano da casa.
Dario era la pecora nera della famiglia (sospiro): si sussurra che addirittura
abbia osato qualche volta uscire a passeggio la sera dopo cena; le sorelle lo
attendevano trepidanti alla finestra per aprirgli silenziosamente la porta in
modo che il padre, già a letto, non sentisse a che ora stava rientrando.
Mario ha poi sposato la
vicina del piano di sopra, Armida Sbarbori, ed ha potuto continuare a vivere vicino alla madre e alle
sorelle. Anche Dario, il nottambulo, si
sposerà (con una filigranista del laboratorio) e avrà tre figli.
Entra ora in scena quello
che a Genova si chiamava lo stagnino,
o il lattoniere; in termini moderni,
l'idraulico. Giovanni Moltini girava per
le case portando a tracolla, con la cinghia, la cassetta degli attrezzi.
Caparbio e lavoratore come Alberto, inizia una produzione di tubi di piombo;
l'azienda è chiamata La Piombifera e
viene intestata ai figli Pietro e Fausto.
Elisa, sorella dei due, fa conoscenza in parrocchia
con Albina Arduino, sua coetanea. Le due famiglie diventano amiche; u Marietu, ragioniere, viene assunto
alla Piombifera e con il tempo ne diventa il direttore amministrativo. Pietro
corteggia Mery, ma pare che il giovanotto sia ateo, e papà Alberto proibisce la
relazione. Anni dopo è il turno di Fausto, che corteggia Amelia, e questa volta
il padre lo accetta, perché buon cristiano.
Amelia è l'unica delle ragazze che riesca a sposarsi. (anche Albina ha
avuto un pretendente, u Gianchin, un geometra che lavorava alla costruzione
della casa vicina, ma anche questo è stato cacciato dall'inflessibile
genitore).
Il negozio degli Arduino, in
via Garibaldi, ha avuto un successo che è continuato nel tempo: aveva clienti
tra le famiglie nobili e fra le autorità cittadine. La via, infatti, è una
delle strade più prestigiose di Genova, realizzata nel '500, in cui si
allineano i palazzi del patriziato genovese. Uno di questi, palazzo Tursi, è ora
sede del municipio, e proprio in un’ala di questo palazzo è situato il negozio.
Tra le varie iniziative era
stata collocata una vetrinetta nell'hotel Mediterranée di Pegli, a quel tempo
uno dei più lussuosi. Pare anche che il cugino misterioso, di cui abbiamo già
parlato, si incaricasse di salire a
bordo delle navi, in porto, per vendere gli oggetti ai passeggeri.
Morto Alberto, la figlia
Mery fino al 1971 è stata titolare del
negozio, conosciuto come il
"negozio delle Sorelle Arduino". Sebbene solo Mery vi lavorasse,
aveva un particolare puntiglio nel volere che le tre sorelle fossero sempre
menzionate assieme, e si offendeva se qualche fornitore indirizzava alla
signorina Maddalena Arduino anziché alle sorelle signorine Arduino.
Mery nel 1971, ormai ottantenne,
ha ceduto il negozio ad una commessa, alla condizione esplicita che tutto rimanesse come prima, e che, se
fosse passato nuovamente di mano, i successori si impegnassero a non modificare
nulla.
Può sembrare incredibile: un
secondo e poi un terzo passaggio ci sono stati davvero, eppure il negozio
ancora esiste senza il minimo cambiamento: piccolo, sovraccarico, sempre lo
stesso arredo, oggetti di grande valore
mescolati a bigiotteria e a curiosità esotiche, vetrina non rifatta da anni.
Andatelo a vedere, vi troverete in pieno 1910….
Era nota in tutta Genova la
Pina, la commessa Giuseppina Occhiuto,
che essendo piccolissima di statura,
si vestiva e pettinava come una bambina
ancora a ottant'anni (a chi, vedendola,
chiedeva stupito: - Ma quanti anni ha? -
la Mery rispondeva, serafica: - Di spirito, è una bambina…. )
Negli anni Trenta, in
collaborazione con la parrocchia, Mery e Pina hanno iniziato a fare assistenza,
nel negozio stesso, ai bambini poveri
della zona: il quartiere della Maddalena, a due passi dalle architetture
sontuose di Via Garibaldi, era ed è tuttora uno dei più degradati sul piano
urbano e morale. Collocati nel negozio due banchi tipo scolastico (Mery e Pina avevano entrambe
il diploma di
maestra), i bambini, a turno, erano aiutati
nei compiti, preparati alla
Prima Comunione, avevano la merenda e a volte qualche
provvista per casa. Due bambini con
gravi problemi familiari erano stati
messi in collegio, seguiti e visitati con affetto materno. Con la stessa
sollecitudine era stata seguita una bambina malata, poi morta all'ospedale.
Durante la guerra alcune
famiglie avevano perduto la casa nei bombardamenti e vivevano nella vicina
galleria che era stata adibita a rifugio antiaereo, a poca distanza dal
negozio. Ogni giorno all'ora di pranzo Pina portava loro un pasto caldo.
La fedelissima Pina, che per
quasi 40 anni ha abitato assieme alle sorelle Arduino, è morta nel 1996 a 96 anni nella casa di Corso
Torino, ultima testimone di un mondo
ormai scomparso.
È un luogo comune dire che tutte le donne oggi
lavorano, mentre in altri tempi se ne
stavano in casa a fare la signora o almeno la massaia. Questo non è stato
certamente il caso delle nostre donne: nella nostra ricerca abbiamo incontrato
contadine, ricamatrici, filigraniste, negozianti, maestre… abbiamo scoperto che
tutte le Arduino lavoravano!
Da quei vecchi documenti trapelano i profili di donne
capaci e coraggiose che non si limitavano a curare la casa e allevare stuoli di
figli, ma erano a fianco dei loro uomini
e contribuivano con loro, e quanto loro, al bilancio famigliare. A distanza di
secoli, le sentiamo moderne e vicine al
nostro modo di pensare.
È evidente che il
personaggio di spicco, nella galleria che abbiamo visitato, è Alberto Arduino:
il figlio del camallo ha saputo
fondare un'azienda, avere appartamenti, barca, casa di vacanza; ha allevato
sette figli, portandone quattro al diploma e uno alla laurea.
Piccolo di statura,
leggermente claudicante, due imponenti baffi, è stato un lavoratore
instancabile, di rigidi costumi, severo, rispettato ma amato dai figli, che
sempre lo hanno ricordato con ammirazione. Molti nipoti e pronipoti sono
laureati, uno è docente alla Facoltà di Ingegneria a Padova.
La famiglia dei bisagnini è riuscita a fare davvero
molta strada dall’orto di Beverato….
Che scoop!!
RispondiEliminaLeggo che mio nonno era considerato ateo... chiederò a mia mamma, speriamo non le venga un colpo!! :-)