martedì 24 febbraio 2015

CASE ALTE



Rosa Elisa Giangoia


I grandi palazzi, che delimitano a destra e a sinistra piazza Rossetti e che concludono il lato destro di via Rimassa e il sinistro di viale Brigate Partigiane, sono comunemente detti "grattacieli", ma in ambito architettonico erano stati indicati fin dall'inizio della loro progettazione come "case alte alla Foce".
La loro nascita è da collocarsi nell'ambito del generale rinnovamento urbano degli anni Trenta del Novecento, precisamente nel 1933, quando, a novembre, fu bandito il concorso per la sistemazione edilizia della nuova piazza alla Foce prevista dal Piano Regolatore di massima delle zone centrali della città (1932). Tutta l’area sarebbe stata oggetto di profondi cambiamenti: il progetto prevedeva, infatti, la trasformazione di piazza del Popolo, la demolizione degli storici cantieri navali Odero, la cui concessione del suolo era giunta a scadenza nel 1931, e la realizzazione di una nuova ampia strada di collegamento tra il nuovo lungomare a levante della città (1926), attuale Corso Italia, e la zona della foce del Torrente Bisagno.
Il concorso, a cui parteciparono numerosi architetti di impostazione razionalistica (Fuselli, Bellati, Morozzo della Rocca, Ferrati, Daneri e Bagnasco) fu vinto dall'architetto Luigi Carlo Daneri (1900-1972) e la costruzione degli edifici, causa anche l'interruzione dovuta alla Seconda   Guerra Mondiale, si protrasse dal 1934 al 1958.
Gli edifici, in blocchi binati orientati perpendicolarmente alla costa, sono disposti secondo un disegno a ‘C’ rivolta verso il mare. L'innovativo progetto di Daneri fu studiato secondo uno schema che prevedeva, a fronte degli allora usuali cortili interni a blocchi edilizi, la realizzazione di edifici in linea con ampi distacchi tra i diversi corpi di fabbrica per consentire la corretta insolazione degli alloggi. In particolare si progettavano blocchi edilizi binati, orientati perpendicolarmente al litorale e raccordati da un piano terreno a porticato continuo.




Bibliografia

F. Gastaldi, Piazza Rossetti, piazza sul mare, in "La Casana", n. 1, a. 2019, pp. 30-33;
R. Luccardini, Albaro e la Foce. Genova. Storia dell'espansione urbana del Novecento, Sagep, Genova 2013;
M. Moriconi, F. Rosadini, L'architettura del Movimento Moderno, Testo&Immagini, Roma 2004;
F. Rosadini, Luigi Carlo Daneri. Razionalista a Genova, Testo&Immagine, Roma 2003;
F. Balletti, B. Giontoni, Una città tra due guerre. Culture e trasformazioni urbanistiche., De Ferrari, Genova 1990;
P. Cevini, Genova Anni ’30. Da Labò a Daneri., Sagep, Genova 1989. pp. 158 sgg.;
P. D. Patrone, Daneri., Sagep, Genova 1982;

P. Sica, Storia dell'urbanistica. Il Novecento, parte II, Laterza, Roma-Bari 1978
P.L. Nervi, La nuova piazza al mare alla Foce a Genova, in "Architettura", luglio 1938.



domenica 22 febbraio 2015

STRADE DELLA FOCE


Severino Fossati

Via E. Cravero
La via non è in linea con il resto delle strade (manca il parallelismo con via Rimassa e con via Casaregis) perché in origine correva all'esterno del muro di cinta del Cantiere. Il piano regolatore del 1877 prevedeva le vie squadrate che non coincidevano con le vie già esistenti,compresi palazzi già costruiti. Come conseguenza, la facciata di via Cecchi del primo palazzo tra via Casaregis e via Cravero è più corta di quella del palazzo in via Morin, mentre quella posta travia Cravero e via Rimassa in via Cecchi è più larga di quella corrispondente in via Morin. Ancora piu corta è quella in via Foce tra via Rimassa e via Cravero. Inoltre, in via Cravero, tra via Morin e via Foce, la facciata dei palazzi ha un leggero cambio di direzione e poi vi è il tratto in curva.
Notare che gli altri muri di cinta del Cantiere non hanno avuto alcuna influenza sul tracciato delle vie e quindi sulla costruzione dei vari caseggiati. Lo stesso problema si manifestò in modo più evidente con corso Buenos Aires, dove alcuni palazzi erano già costruiti sulla via detta allora Minerva non perpendicolare ai due viali. L'effetto è visibile all'incrocio con corso Torino.

Via Rivale

Originariamente via Rivale costeggiava il torrente Bisagno: partiva probabilmente dal mare lungo il muro di cinta del Lazzaretto di ponente fino poi arrivare a Borgo Pila, presso la piazza di s. Zita oggi scomparsa. Sempre partendo dal mare, ma passando lungo l'argine cinquecentesco del torrente Bisagno, c'era un'altra via, che terminava unendosi all'attuale via F. Aprile all'altezza di vico Chiuso L. Pareto (Crosa Storta della Foce): era la via F. Ferruccio il cui nome oggi è dato alla strada privata che in parte ricalca un tratto della vecchia. Negli anni 20 del '900, la via correva lungo una specie di argine fino a Corso Buenos Aires ed includeva il Borgo Pila. Sulla sponda opposta, la via si chiamava Feritore. Il tratto di via Rivale lungo il muro ai primi dell'800 venne chiamata via dei Cordannieri per la presenza di una manifattura di cordami. Il tratto fra l'attuale piazza Rossetti e via Maddaloni oggi è chiamato via F. Aprile, mentre da via Maddaloni a piazza Cipro è chiamata via Cipro. In fine il
toponimo Rivale è rimasto solo da piazza Cipro a via S. Zita. Il percorso di tutta la via non è rettilineo perché dopo l'incontro con vico L. Pareto seguiva l'argine del '500 che nella zona del vecchio Borgo Pila formava un'ansa ove col tempo il torrente depositò materiale su cui sorse il ponte medievale omonimo e quindi il Borgo. Il ponte fu distrutto nel 1821: riparato, ne fu costruito uno nuovo più a monte e per un certo tempo vi furono due ponti Pila.

   Un ricordo folkloristico è quello delle battaglie a priunae (?) a tiri di pietra che ancora poco dopo il 1945 vedeva i ragazzi della Foce contro quelli di via Rivale, cioè abitanti nel vecchio Borgo Rivale: era probabilmente un perdurare di antiche competizioni campanilistiche o addirittura di ambiente sociale, trattandosi gli uni di origine pescatori, gli altri di origine contadini. 

   Tra i ragazzi della Foce e quelli di via Rivale esisteva una certa rivalità che ancora nei primi anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale si traduceva in guerra a pietrate. Un anno, dopo che fu smantellata la Settembrata insediata sulla piazza, rimasero numerose canne che erano servite a qualche costruzione dei Pionieri, che erano i boys scout associati al partito Comunista: quelle canne furono utilizzate in sostituzione delle pietre e probabilmente fu l'ultima occasione di manifestare la rivalità tra i due borghi.

Via Rimassa
Ha come fondo il cemento: si tratta di quadrati il cui lato è metà carreggiata e tra le cui giunture era posto del bitume. Probabilmente si è trattato di un esperimento di prova ad imitazione delle autostrade germaniche che erano in costruzione contemporaneamente. Infatti è già presente durante l'attività del Villaggio Balneare del 1934. La superficie del cemento tuttora presente anche se non più
integra, rende l'asfalto poco duraturo perché non vi aderisce perfettamente.




Ponte Bezzecca


Era situato sul prolungamento di via C. Barabino fino alla Questua in via Diaz. Era in ferro e con la copertura del Bisagno fu smontato (1932) e risistemato dopo Staglieno, prima del cavalcavia dell'autostrada. Subito alla fine del ponte, a mare, ove oggi c'è la Questura, c'era un altro piccolo ponte per un corso d'acqua proveniente dal Cavalletto cui si univano le acque del rio Groppallo.



Via Casaregis


Muro sostegno via Nizza


Via Nizza nel tratto che corre parallelamente a via Casaregis è sostenuta da un terrapieno con muro in cemento: oggi è coperto parzialmente da un palazzo lungo e stretto, costruito nel 1955.
Prima vi erano tre resti della montagna che in origine scendeva fino presso il palazzo con il numero civico 6: di tali resti, tre rocce che servivano a far da contrafforte, due furono tagliati per far posto al palazzo, mentre la terza, più piccola, è tuttora presente dietro i locali della pizzeria. Le due rocce in
altezza arrivavano una a circa diciotto metri, quella a sinistra, mentre l'altra a circa quindici. La maggiore lasciava un marciapiedi di mezzo metro. Fra le due, distanziate di circa cinque metri, vi era una vespasiano. Le due rocce erano per i ragazzi di allora una specie di 'palestra' e raggiungere la cima della più alta era un'impresa che non tutti erano in grado di eseguire. In origine il muraglione era più piccolo, perché la roccia originale rimasta era molto più grande: arrivava al centro della carreggiata di levante. Tra il 1930 ed il 1936 il muraglione originale franò in parte assieme a parte delle rocce ancora presenti, perché pare, non scaricava a sufficienza l'acqua del terrapieno. Fu necessario rifarlo con numerosi fori, alcuni dei quali avevano i relativi tubi di caduta, come quelli ancora presenti sui montanti tra gli archi e contemporaneamente la roccia residua fu ridotta, lasciando i due monconi.

Gli alberi di via Casaregis
In via Casaregis il tratto da via Cecchi al mare era alberato sul lato di ponente fino al tempo della Seconda Guerra Mondiale. Si trattava di alberelli: il primo presso l'angolo di via Cecchi era probabilmente un tamericio, il cui tronco era protetto da una gabbia in ferro. L'ultimo, all'altezza del cancello tra i numeri civici 6 e 4, era un pittosforo. Sono stati tagliati durante la guerra dai cittadini nottetempo, per essere bruciati. Alla fine del civico 4 c'erano due cassoni interrati che servivano per lo svuotamento del sacco della spazzatura raccolta nelle case dallo spazzino. Oltre a via Casaregis, anche via C. Barabino era alberata nel tratto verso piazza Palermo. Probabilmente era intenzione di alberare tutta la via, ma la guerra fece interrompere il progetto. Tra i platani di via Cecchi, presso viale Brigate Partigiane, ce n'è uno che è precedente, cioè esisteva già in mezzo alle vecchie case demolite: non è stato tagliato, benché sia quasi fuori dall'attuale aiuola.


Livello Stradale
Quasi tutti i giardini posti tra le case di via Casaregis e corso Torino nella loro parte più vecchia e quindi alberata sono ad un livello più basso delle strade presso i marciapiedi. Ciò è dovuto al fatto che le strade furono costruite più in alto rispetto al livello del terreno perché non si inondassero troppo facilmente con le frequenti esondazioni del Bisagno. Il P.R. prevedeva un'altezza massima degli edifici di 25 metri e uno spazio tra due successivi di quindici. I costruttori lasciarono i giardini più bassi, ottenendo un piano in più talvolta abbassandone anche un po' il livello. Vi sono poi particolari condizioni che hanno causato dislivelli tra le strade: via Casaregis verso il mare, già nella parte alberata, è in leggera salita perché il tratto tra via Cecchi ed il civico 4 è stato ottenuto tagliando il promontorio che scendeva da via Nizza e quindi, forse per risparmio, si è lasciato che il livello della strada risultasse più alto, raccordando però con piccole discese il suolo con via Rimassa, vedi via Cecchi quasi orizzontale, via Morin in discesa e via Foce in decisa discesa.
Il vero livello della piana è forse rimasto in via della Libertà, il cui punto più basso è all'incrocio con via Ruspoli. In quel punto più volte si sono viste persone spostarsi con la barca, prima del rifacimento della fognatura delle acque bianche che sfocia in mare attraverso il pennello in linea con via Magnaghi. Da corso Torino a via della Libertà le traverse sono tutte in discesa e tra via della Libertà e via Brigate Partigiane sono in salita per raccordarsi con la copertura del Bisagno che ovviamente è stata tenuta più alta.




Proteggi angoli

Un tempo negli angoli concavi tra le case di ogni città erano posti degli accorgimenti per impedire ai
malintenzionati di orinarvi. Nel Medioevo era un reato e quindi si ponevano cartelli per impedire che qualcuno orinasse anche contro il muro delle chiese durante le funzioni religiose... In alcuni casi, quando 1'abitudine fosse stata troppo incallita, vi si ponevano delle immagini sacre perché il reato diventasse sacrilegio e così punibile molto più severamente. Alla Foce sono presenti cinque di questi ostacoli: due in metallo ai lati del portone della scuola media-asilo infantile, di corso Torino 60, due agli angoli ciechi dello slargo di corso Torino che termina con l'anagrafe.
Proteggi angolo in corso Torino 60
Questi sono dei quarti di cono in muratura, ed uno è contro l'edificio dell'anagrafe, l'altro nell'angolo opposto, presso il cancello del magazzino di materiali igienico sanitari. Il quinto si trova presso l'Ufficio Postale. 


ALLA FOCE DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

Severino Fossati

   
Durante la guerra, l'arrivo o il semplice passaggio di aerei nemici era segnalato dal suono di una sirena che era posta sul terrazzo del palazzo in via Nizza che fa angolo con via Trieste. Con l'arrivo delle truppe germaniche furono consegnati dei volantini con disegnato il golfo di Genova e dei cerchi corrispondenti a distanze dal centro della città. Servivano per capire la zona dove si trovavano gli aerei quando partiva il primo suono di sirena che segnalava lo stato di preallarme per la popolazione civile. Poi, eventualmente, partiva il secondo suono di vero allarme quando si riteneva che potessero essere diretti a Genova. La gente scappava nei rifugi antiaerei: all'inizio questi erano semplicemente i locali a piano terra nell'atrio, rinforzati con strutture in legno. Quando ci si rese conto che non erano affatto sicuri, ci si rivolse altrove: alla Foce si utilizzarono i fondi delle case in cemento armato di via Rimassa, nr. 49 e 51. Sopratutto quest'ultimo perchè nel 49 c'erano i Tedeschi che non erano entusiasti della presenza dei civili. Anche i garages del primo caseggiato su corso Marconi tra via Casaregis e via Rimassa con ingresso in via Foce furono molto frequentati. Un altro rifugio abbastanza sicuro ma poco pratico perché distante, era una galleria che iniziava ai piedi della scalinata che porta da via Nizza a via Trento, oggi chiusa. Era sulla sinistra ed era diretta verso San Martino, ma non è noto se era ultimata oppure abbandonata. Dopo la guerra sull'ingresso fu costruito un ascensore per evitare le scale, che oggi non esiste più perché demolito.
   Dopo l'armistizio de1l'8 settembre, sui marciapiedi di corso Italia, forse limitatamente al rettilineo di san Giuliano erano state costruite delle saline: larghe vasche delimitate da muretti alti circa venti centimetri. Mancando il sale si andava ai bagni di Capo Marina, allora chiamati Bagni delle Caverne
per via degli archi che sostengono in quel punto le corsie a mare di corso Italia: siccome la spiaggia era sotto gli archi, quando si prelevava l'acqua di mare non si era visti dai militari di guardia alle saline. Quell'operazione era proibita in quanto il sale era un prodotto di monopolio di stato. Alla Foce non era possibile prenderla nella limitata spiaggia verso Punta Vagno, perché data la vasta zona minata vi erano militari di guardia.
   La Foce faceva parte del cosiddetto Vallo Ligure, il sistema antisbarco costruito lungo le coste del Continente. Era costituito dal campo minato della spiaggia, con numerose mine anticarro. Una fila di ostacoli in cemento armato di forma tronco-piramidale quadrata, di circa un metro/un metro e venti, alti circa due metri, distanziati di circa un metro posti sulla spiaggia presso il marciapiedi, tutti collegati con filo spinato. Un muraglione in cemento che chiudeva le vie Casaregis e corso Torino, da palazzo a palazzo, che permetteva solo il passaggio di una persona alla volta presso le abitazioni; dove poi sarà piazza Rossetti, invece, una profonda trincea, probabilmente zigzagante. L'area dopo i lavori iniziali, fu interdetta. Probabilmente l'area era dotata anche di armi pesanti. La zona armata era quella di Punta Vagno: vi erano almeno tre cannoni antisbarco piazzati in casematte in cemento.
(Cartolina, Edizioni Solari)
Uno era sistemato molto basso sul mare, sull'estrema punta, con lo scopo di tiro d'infilata; uno era all'altezza di corso Italia ove oggi c'è il parcheggio del ristorante ed il terzo era dove ora c'è la discoteca, presso via Podgora. Un fortino con mitragliatrici era circa ove oggi c'è l'ingresso dei giardini Govi, presso il ballatoio tra le due rampe della scalinata. Queste postazioni potevano costituire l'obbiettivo degli attacchi aerei, ma non è stato mai chiaro perché comunque non risulta che siano stati mai centrati. Forse i piloti si orientavano sui due grandi viali, corso Torino e via Casaregis e li sganciavano il loro carico. La chiesa di San Pietro fu colpita due volte e quindi distrutta. Le tre case della vecchia Foce rimaste, in salita Fogliensi, furono più volte colpite: la centrale fu distrutta, ma tra via Nizza e le case caddero anche degli spezzoni incendiari. I vigili del fuoco ripartivano dopo aver spento l'incendio, ma dopo qualche ora il fuoco riprendeva: la cosa si protrasse per giorni. La villa Hofer già di Rubattino, ex convento di san Vito fu praticamente distrutta, lasciando in piedi parte della torre ex campanile ed una parete.
 
Il palazzo con numero civico 1 di via Morin fu colpito due volte nella parte meridionale e furono distrutti tutti i piani di quell'ala. Lo stesso palazzo, ma nella parte che corrisponde al
civico 6 di via Casaregis, fu colpito da una bomba che entrò nella facciata interna tra il quarto ed il quinto piano: non esplose ma forò tutti i pavimenti fermandosi tra il primo piano ed il retrobottega di via Morin. In via L. Pareto due palazzi furono distrutti ed un terzo danneggiato. Sempre in via Morin
una bomba (piccola?) colpi la facciata del civico 47 di via Rimassa nei piani alti facendo un buco. L'allora primo palazzo di via della Libertà con ingresso in via Ruspoli fu distrutto. Una bomba cadde sulla strada in via Nizza sopra i lavatoi che erano sotto dietro il civico nr 1 di via Casaregis: vi persero la vita con la governate tre bambini figli di un ufficiale italiano che operava nella Casa dello Studente allora sede degli interrogatori di polizia. Oltre a queste vi furono bombe che provocarono grandi crateri nelle strade: ve ne erano tre in via Casaregis: davanti al civico 3,vicino al palazzo, al centro della strada, davanti al civico 8 sopra l'incrocio dei binari tranviari e davanti al civici nr 7-5.In via Cecchi un cratere era davanti al cinema Regina che dopo la guerra fu chiamato Aurora e che oggi è sede di una discoteca ed un teatro. In via Morin all'incrocio con via Cravero cadde una bomba, che fece un foro senza esplodere: non fu mai trovata. Sempre in via Morin, davanti al negozio il cui retrobottega fu interessato dalla bomba inesplosa, tra i binari del tram cadde un proiettile che si disse provenire dalla contraerea italiana che non esplose.



LA FOCE NELLA LETTERATURA E NELL'ARTE



Rosa Elisa Giangoia


EUGENIO MONTALE

Annetta

Perdona Annetta se dove tu sei
(non certo tra di noi, i sedicenti
vivi) poco ti giunge il mio ricordo.
Le tue apparizioni furono per molti anni
rare e impreviste, non certo da te volute.
Anche i luoghi (la rupe dei doganieri,
la foce del Bisagno dove ti trasformasti in Dafne)
non avevano senso senza di te.
Di certo resta il giogo delle sciarade incatenate
o incastrate che fossero di cui eri maestra.
Erano veri spettacoli in miniatura.
Vi recitai la parte di Leonardo
(Bistolfi ahimè, non l'altro), mi truccai da leone
per ottenere il 'primo' e quanto al nardo
mi aspersi di profumi. Ma non bastò la barba
che mi aggiunsi prolissa e alquanto sudicia.
Occorreva di più, una statua viva
da me scolpita. E fosti tu a balzare
su un plinto traballante di dizionari
miracolosa palpitante ed io
a modellarti con non so quale aggeggio.
Fu il mio solo successo di teatrante
domestico. Ma so che tutti gli occhi
posavano su te. Tuo era il prodigio.

Altre volte salimmo fino alla torre
dove sovente un passero solitario
modulava il motivo di Massenet
imprestò al suo Des Grieux.
Più tardi ne uccisi uno fermo sull'asta
della bandiera: il solo mio delitto
che non so perdonarmi. Ma ero pazzo
e non di te, pazzo di gioventù,
pazzo della stagione più ridicola
della vita. Ora sto
a chiedermi che posto tu hai avuto
in quella mia stagione. Certo un senso
allora inesprimibile, più tardi
non l'oblio, ma una punta che feriva
quasi a sangue. Ma allora eri già morta
e non ho mai saputo dove e come.
Oggi penso che tu sei stata un genio
di pura inesistenza, un'agnizione
reale perché assurda. Lo stupore
quando s'incarna è lampo che ti abbaglia
e si spegne. Durare potrebbe essere
l'effetto di una droga nel creato,
in un medium di cui non si ebbe mai
alcuna prova.






martedì 3 febbraio 2015

LA CHIESA DEI SS. NAZARIO E CELSO

Daniele CAGNIN

PREFAZIONE
Il presente elaborato fa parte di una serie, in cinque puntate, che narrerà le vicende storiche dei sei edifici sacri che erano presenti nella Foce antica. Tutto ciò è il risultato di un “progetto storico” che il gruppo culturale dell’Antica Foce (presente nella Biblioteca Servitana) ha ideato circa un anno fa e che porta a questa “creatura”.
In questa prima puntata prenderemo in esame la chiesa dei Santi Nazario e Celso, esistita per circa un millennio, e di cui, probabilmente, si è persa la memoria storica: è tramite questo lavoro di ricerca, prima, e di divulgazione, dopo, che il mio intento di “comunicazione” non viene meno e consolida quel rapporto con il passato, che a volte non siamo in grado di raccontare in modo competente.
Per rendere più agevole la lettura di questa “relazione”, ho diviso il lavoro in tre capitoli: il sito originario, la chiesa romanica, la terza chiesa. E’ doveroso portare a conoscenza, pur se con alcuni limiti, notizie sulla “nostra Foce”: buona lettura.


CAPITOLO 1
IL SITO ORIGINARIO – Notizie storiche fino al X secolo
PREMESSA STORICA
Descrivere eventi storici lontani dal nostro quotidiano decine di secoli è un “operazione” che richiede un lavoro di “ricerca” non sempre agevole, anche se si hanno a disposizione le fonti contemporanee; ciò dipende dal fatto che si deve “indagare” con gli elementi messi a disposizione dalle “prove raccolte” che culturalmente presentano difficoltà di carattere linguistico (latino), di carattere grafico (calligrafia diplomatica), e di veridicità storica: i cronisti altomedioevali o tardo antichi reputavano doveroso “esaltare” l’avvenimento storico piuttosto che approfondirlo … ma quando mancano i documenti? In questo caso il compito è sicuramente molto arduo, ed è doveroso prendere in esame una più ampia narrazione storica.
Le prime “notizie certe” sulla chiesa che sto analizzando sono da far risalire alla fine del X secolo, ma precedentemente?
Se diamo credito a quanto riferito da alcuni studiosi consultati dobbiamo considerare che il luogo, dove sorgerà la “sede definitiva” della chiesa, era già frequentato in epoca romana, anche se scarsa di costruzioni: doveva essere una zona sacra, forse una necropoli o comunque un luogo di sepoltura.

sabato 31 gennaio 2015

LE SCUOLE DELLA FOCE

Maria Cristina Ferraro


Il quartiere della Foce è da molti anni ricco di istituti scolastici: dalla scuola materna fino alle superiori gli alunni della Foce hanno avuto la possibilità di istruirsi senza allontanarsi dal loro quartiere.
Le scuole materne comunali sono sempre state due, una in Corso Torino e l'altra in via Rivale.  Le scuole elementari erano pure due, la Barrili con sede in piazza Palermo e la Colombo con sede nel palazzo di corso Torino (attualmente sede dell'anagrafe).







Durante la seconda guerra mo
ndiale il palazzo fu bombardato e la scuola fu trasferita in piazza Palermo per poi ritornare alla sede primitiva, ma solo all'ultimo piano, dove è rimasta fino agli anni'80.

La scuola media Magnasco ebbe la sua sede nell'edificio della scuola materna di Corso Torino dopo che questa fu ricostruita in seguito all'incendio che la rese per lungo tempo inutilizzabile. Ora la scuola media con il nome G. Pascoli è stata accorpata alla scuola media D'Oria.



Nel quartiere Foce da lungo tempo hanno trovato sede le scuole delle Suore Immacolatine che comprendono dalla scuola materna fino al liceo. All'inizio i corsi erano solo femminili ora sono aperti anche agli allievi maschi.

L'Istituto delle Suore dell'Immacolata, fondato dal Sacerdote Don Agostino Roscelli, è nato a Genova, in Via Volturno (Borgo Pila), il 15 ottobre 1876 come scuola elementare, di cucito e asilo infantile; nell'ambito di qualche decennio la Scuola Elementare dovette essere adeguata alle esigenze delle nuove leggi sull'istruzione
(legge Daneo Credaro l9l4). 
Con l'affermarsi dell'opportunità, sancita dalla Legge Gentile del 1923 e soprattutto per i ragazzi e le ragazze, abitanti i centri cittadini, di proseguire gli studi oltre il corso elementare, fu avviato l'Istituto Magistrale inferiore, che negli anni 1937-38-39 fu gradualmente parificato, prima come succursale dell'Istituto di Via Montallegro, indi in modo autonomo. Nell'anno 1949-50 fu avviato il Liceo Scientifico che ottenne il riconoscimento legale nel 1955. La Scuola Elementare fu, invece, parificata il 19 ottobre 1963. Nell'anno 200l, nel mese di Agosto, è stata concessa la parità a tutto il plesso scolastico.
Un'altra scuola che ha connotato fortemente il quartiere per lunghi anni è la scuola dei Fratelli Maristi che, dalla Francia da dove furono espulsi nel 1903, si trasferiscono in Italia dove già avevano una piccola scuola a Roma. Genova è scelta perché città portuale e quindi rispondente al loro desiderio di andare a portare il loro carisma in luoghi lontani. A Genova era allora in costruzione Via Casaregis ed è al numero 13 che i Fratelli Maristi iniziano la loro scuola. Terminata la costruzione della via si trasferiscono al n.43 dove, dal 1910, trovano posto la scuola elementare e l' istituto tecnico inferiore.
L'Istituto è subito frequentato da un buon numero di alunni e nel 1911 gli alunni della scuola sono invitati a partecipare al varo della corazzata Leonardo Da Vinci nel quartiere della Foce.
Il numero degli alunni cresce sempre più e alla fine della Prima Guerra Mondiale arriva ad essere 436.
Alla fine del 1915 Fr. Emery, che dirige la scuola, invita Mario Mazza, l'iniziatore dello scoutismo in ltalia, a parlare agli studenti e il 6 gennaio 1916, nella scuola San Giuseppe, nasce il primo gruppo scout genovese "Gioiosa S. Giuseppe IV Reparto ASCI 1916". Gli scout saranno poi soppressi dal Fascismo nel 1927 , ma ritorneranno alla Foce, sempre nella loro vecchia sede, nel 1945.
Con la riforma Gentile l'istituto tecnico inferiore si trasforma e va a comprendere due quadrienni: l'inferiore e il superiore. C'è una scuola media e una scuola di avviamento.
Nel 1936 le scuole dei Fratelli Maristi hanno la parificazione, nel 1940 una parte della scuola sarà trasferita in Albaro, ma fino al 1966 alla Foce rimarranno la scuola elementare e la scuola media.






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Dal 1921 troviamo in Piazza Palermo l'Istituto Nautico San Giorgio.
In Italia le Scuole Nautiche statali per la Marina Mercantile erano state promosse dal Regno di Sardegna nel secolo XIX e quella di Genova è certamente la più antica in quanto venne istituita con Regia Patente del Re di Sardegna Vittorio Emanuele I nel Marzo 1816 .
Con questo Atto veniva approvato il "Regolamento per la Marina mercantile', che prevedeva 'nelle citta di Genova, Nizza, Cagliari una Scuola di Nautica'', per preparare ai gradi di capitano di l.a e 2.a Classe e Padrone marittimo.
In precedenza era stato approvato analogo Regolamento per la Marina Militare.
Con successive Regie Patenti del Re Carlo Felice del 13 Gennaio 1827, veniva precisato ed aggiornato questo Regolamento e veniva confermata la parte relative alle Scuole Nautiche .
Agli inizi del XIX secolo i titoli di Padrone marittimo e Capitano di l.a e 2.a Classe, dopo gli studi nautici (che si iniziavano a 12 anni) venivano rilasciati dopo un congruo periodo di tirocinio (circa tre anni più il servizio militare), previo Esame di Nautica e Matematica a Genova al Consolato del Mare, da parte di una Commissione composta da un Maestro di Nautica di l° Classe e da due Ufficiali superiori di Marina.
Per gli allievi bocciati doveva precisarsi se era stato per difetto d'ingegno o per poca applicazione!
Una disposizione dell'Ammiragliato di poco successiva al 1816, prescriveva che le patenti rilasciate dai precedenti governi (Impero francese, Repubblica ligure e Repubblica di Genova) dovevano essere presentate per essere aggiornate al nuovo ordinamento della Marina; tale disposizione sta a confermare l'esistenza di Scuole Nautiche ed insegnanti privati almeno fin dalla fine del Settecento.
La sede, secondo il regolamento del 1816, doveva trovarsi in ambito portuale (ora non più individuabile essendo da tempo scomparso il fronte del porto di allora) e la cancelleria doveva essere a carico allievi.
È da ricordare che in quei tempi non esistevano scuole pubbliche, ma solo ottime scuole private ecclesiastiche di tipo umanistico non nautiche, necessarie invece col sempre maggiore sviluppo della marina; un Regio brevetto del 12 dicembre 1840 regolamentava poi in modo più preciso i programmi di tali scuole (nel regolamento del 1816 veniva precisato che la preparazione di un Capitano doveva essere analoga a quella di sottotenente di vascello della Regia Marina).



Esercitazione degli allievi nel cortile dell'istituto in piazza Palermo



IL XIX SECOLO

Presso le Scuole Tecniche della Camera di Commercio (che erano state istituite nel 1846) vi era a Genova una Scuola Nautica e d'Architettura Navale, mantenuta dalla Camera di Commercio locale, che venne poi fusa colla Scuola Nautica Governativa assumendo il nome di "Istituto Reale di Marina Mercantile" .
L'Istituto poi insieme agli altri indirizzi di studio confluì nel Regio Istituto Tecnico Statale, istituito nel 1860 (denominato Vittorio Emanuele II) con sede in Largo Zecca.
Nella seconda meta dell'Ottocento era iniziata la navigazione a vapore, e quindi si era resa necessaria la specializzazione di Macchinista navale (nel 1865 troviamo già una scuola per Macchinisti navali di pertinenza Marina militare), la navigazione a vela proseguì però fino al primo decennio del Novecento e contemporaneamente cresceva la moderna marina; la vela cedeva al vapore (nel l87l troviamo i primi diplomati Macchinisti navali dell'Istituto tecnico), il legno era sostituito dal ferro (nel Cantiere della Foce veniva varato nel 1866 il primo bastimento italiano in ferro), e si andava formando la flotta mercantile e militare italiana.

IL XX SECOLO

Nel 1917 vennero elevati a 4 anni tutti e tre i corsi, potenziate le lingue straniere (Francese e Inglese) e dato grande incremento alle esercitazioni pratiche; tale ordinamento annuale rimase invariato anche con la successiva Riforma Gentile del 1923.
Dal 1919 al 1929 gli Istituti Nautici, che nell'Ottocento erano passati dalla Marina Militare alle dipendenze del Ministero dell'Agricoltura, Industria, Commercio e poi del Ministero Pubblica Istruzione, furono nuovamente in gestione alla Marina (di quella epoca datano gli alberi di veliero per l’esercitazioni), poi passarono nuovamente al Ministero Pubblica Istruzione.
Venne subito preso in considerazione il problema di una sede più degna in luogo della comune sede della Zecca, di fatto fu costruito il palazzo neogotico di piazza Cavour, ma purtroppo vi venne invece sistemato il Comando Guardia di Finanza (Caserma S. Giorgio); all'Istituto Nautico, che nel frattempo aveva assunto la denominazione di San Giorgio, nel 1921 fu assegnata Ia sede di piazza Palermo, in via provvisoria perché ritenuta inidonea dalla Giunta di Vigilanza.
La sede provvisoria fu mantenuta fino al 2007, la provvisorietà durò per 88 anni!
Gli iscritti nell'Ottocento e primi decenni del Novecento erano un centinaio o poco più , poi con le guerre e la costruzione delle grandi navi salirono a più centinaia fino agli anni trenta per poi diminuire ad un minimo storico di 92 nel 1936, e risalire nel secondo dopoguerra.
Il problema della sede nuova per l'Istituto venne spesso sollecitato, e negli anni Ottanta e Novanta anche con manifestazioni dr piazza degli studenti e articoli sui giornali.
Nel 1953 il numero degli allievi raggiunse i 785 iscritti (tutti in Piazza Palermo) mentre la struttura non avrebbe potuto accogliere a stento meno della metà, in seguito venne poi in aiuto la Succursale in Corso Galilei, nel 2001/2 trasferita in Via Lomellini.
Si parlò negli anni Cinquanta di trasferimento in Porto alla Batteria della Stella (da ristrutturarsi), fu poi fatto anche un progetto preliminare per insediare il Nautico al Cembalo in Darsena negli anni Ottanta (poi naufragato), si propose poi anche di trasferirlo al Palazzo Congressi Fiera Genova, assegnato poi ad altri, al Silos Ennebique, e per finire nel 1998 alla Fiumara (proposta che il Collegio Docenti bocciò subito), finalmente nel 2000 auspice la Provincia si arrivò al Progetto attuale elaborato che venne poi approvato definitivamente non senza contrasti (si propose da alcuni d'insediarlo al Porto di Voltri ) in Conferenza di Servizi solo nel giugno 2003.
Mentre si discuteva della nuova sede entrambe le sedi di Genova e Camogli e la Succursale si presentavano in stato di notevole degrado, per Piazza Palermo si provvide però ad un modesto restauro immediato; la sede di Camogli ( che risaliva al 1939 ) venne invece ristrutturata e messa a norma solo nel 2000/2003.
I laboratori sia di Genova, sia di Camogli vennero comunque migliorati o rinnovati.
Pure la Stazione a mare ed il Laboratorio costruttori, interessati ai lavori di ristrutturazione in Porto, subirono vari spostamenti durante gli anni duemila.
Nell'anno 1992 al Nautico San Giorgio viene accorpato l'Istituto Nautico Statale C. Colombo di Camogli. Finalmente il Nautico trova la sua nuova prestigiosa sede nella Nuova Darsena nel 2007.


Le Scuole Vespertine


Nel 1871 il Comune di Genova, accogliendo una proposta del segretario dell'Accademia Ligustica di Belle Arti Tamar Luxoro, approvava l'istituzione dell'Istituto di Disegno Industriale che iniziò il primo corso con 50 alunne.
Il primo insegnamento professionale fu quello di cucito a mano e a macchina e quelli erano gli anni in cui le macchine da cucire incominciavano ad essere usate nelle case private.
Alcuni anni dopo, accanto al primo corso professionale annuale, fu istituito un corso triennale di studi, come complemento della scuola elementare.
Il corso triennale comprendeva i laboratori di pizzo, ricamo, crestaia, filigrana, stiratura e calligrafia artistica.
La scuola ha tanto successo che nel 1878 partecipa all'Esposizione Internazionale di Parigi e nel 1881 assume il nome di Duchessa di Galliera.
Nel 1897 il Consiglio Municipale di Genova decide di istituire un corso professionale femminile e, accogliendo le richieste del Presidente del Comitato Ligure per l'Educazione del Popolo, Anton Giulio Barrili, fa partire, in via sperimentale, una prima scuola Professionale Femminile Vespertina presso la scuola industriale femminile Duchessa di Galliera, con la finalità di "impartire alle fanciulle licenziate dalla scuola elementare nozioni di cultura generale e di avviarle all'esercizio dell'industria e dell'artigianato femminile preparandole nel contempo al saggio governo della famiglia".
Alle alunne sono impartite nozioni e istruzioni sulle materie: disegno, taglio e cucito, sarta da donna, pettinatrice, crestaia, fiori artificiali, lingua italiana, aritmetica pratica e francese.
Queste Civiche Scuole Vespertine hanno caratteristiche e tradizione spiccatamente genovese, dal momento che è Genova la prima città a fornire un servizio di questo tipo tramite un ente pubblico.
Le ragioni storiche e culturali che 111 anni fa hanno permesso l'istituzione e lo sviluppo di un corso professionale femminile vanno individuate nella costituzione caratteristica e particolare della famiglia genovese dove gli uomini erano spesso assenti (le fonti principali di lavoro venivano dal mare, naviganti o pescatori, o dalla fabbrica, operai) e nella famiglia diventava centrale il ruolo della donna .
Il successo della scuola e l'alta frequenza furono determinanti per l' espansione delle vespertine che quadruplicarono nel 1908 - 1909 con 1744 iscritte. Nell'immediato dopoguerra le scuole erano già l0 con 2200 allieve e nel 1928- 1929 si arrivò alle 12 scuole di Genova Centro più 12 scuole nelle sedi periferiche corrispondenti agli ex comuni.
In seguito alle riforme scolastiche nel 1930 le scuole vespertine abbandonarono il programma culturale, continuando a svolgere l'attività per le giovinette non più soggette all'obbligo dell'istruzione. La frequenza era gratuita e al termine del terzo corso dava diritto al rilascio di un certificato di frequenza e di profitto dopo aver sostenuto una prova teorico-pratica sugli insegnamenti impartiti: economia domestica, igiene e puericultura, biancheria e cucito, sartoria, ricamo, stiratura, confezione delle calzature, confezione dei guanti, disegno e relative applicazioni ai lavori domestici, metallo-plastica, dattilografia, confezione di fiori artificiali. La prova era tenuta davanti ad una commissione presieduta dal direttore della scuola e di cui facevano parte le insegnanti delle materie, un rappresentante del Municipio e uno del Regio Provveditore agli Studi.
I corsi avevano la durata di sei mesi, metà novembre- metà maggio e si tenevano in 3 ore giornaliere per 5 giorni non festivi alla settimana.
Le scuole vespertine nel 1936/37 erano 22 in Genova-Centro e le alunne iscritte erano 3622. La seconda guerra mondiale coinvolse inevitabilmente anche le scuole vespertine causandone in gran parte la chiusura, ma la fine della guerra vide il loro rapido rifiorire e in pochissimo tempo ne furono riaperte 18. Le insegnanti nel frattempo rivendicavano una figura giuridica che ottennero solo negli anni 50, fino ad allora le insegnanti eriano assunte stagionalmente. Con una delibera del Comune di Genova del 23/12/1953 furono banditi i concorsi per una regolare assunzione delle insegnanti delle scuole vespertine e per accedere a tale concorso era richiesto come titolo di studio il diploma della scuola di Magistero Professionale per la donna e successivamente un titolo di scuola media superiore. Con questo ordinamento per le assunzioni delle insegnanti vespertine si volle riconoscere non solamente la preparazione culturale e professionale delle insegnanti, ma si assicurò anche la protezione del posto di lavoro.
Gli anni '60 e il boom economico segnarono un calo e una crisi, l'utenza femminile decrebbe perché la donna stava conquistando maggiori spazi nella società e la tecnologia faceva passi da gigante e la crisi venne confermata dall'assunzione zero di insegnanti.
In quegli anni si evidenziò la tendenza a consumare prodotti confezionati dalle industrie e ci fu quindi un calo del “fai da te" anche nel campo dell'abbigliamento e dell'economia domestica.
Direi che da questo punto in avanti le scuole vespertine evidenziarono una nuova caratteristica: la funzione sociale. Il legame economia - vespertine- società è sempre stato profondo e in questi anni che videro la nascita e lo sviluppo dell'educazione degli adulti le vespertine molto bene rispondevano a queste esigenze: da anni esse svolgevano un’ utilissima educazione degli adulti.
Negli anni '70, con la fine del benessere economico, le scuole vespertine si ripopolarono, ritornarono ad essere frequentate anche da donne giovani tanto che i concorsi di assunzione delle insegnanti, che latitavano dagli anni '60 , furono ripresi negli anni '80 e questi concorsi furono aperti anche agli uomini, secondo i canoni costituzionali: una vera e propria rivoluzione rinnovatrice che ha aperto l'insegnamento anche all'utenza maschile, che a dire il vero è rimasta decisamente poco coinvolta !
Tengo a sottolineare ancora una volta il ruolo che le scuole vespertine hanno svolto e stanno svolgendo nella nostra società: le donne anziane che rappresentano almeno il 50% dell'utenza, hanno la possibilità, all'interno della scuola vespertina, di recepire, scambiare e donare conoscenza, cultura e professionalità: patrimonio che altrimenti andrebbe perduto e la possibilità di incontrare altre persone con cui confrontarsi
permette spesso di risolvere l'isolamento familiare caratteristico della nostra società.
Nel decennio '70/'80 l'amministrazione si rese conto che l'utenza era cambiata, con una maggiore frequenza di allieve in età matura (sopra i 40 anni) e nell'aprile del 1982 il Consiglio Comunale approva il nuovo regolamento per l'organizzazione e il funzionamento delle Civiche Scuole Vespertine, che si era reso necessario "sia per motivi di organizzazione interna, sia per motivi di ammodernamento nei confronti di
una società in rapida evoluzione".
Si decide di cambiare la denominazione in quanto considerarle scuole non risultava più essere adeguato all'effettiva attività che vi si svolgeva e alla nuova funzione sociale che ci si era trovati a dover assicurare: le gloriose Vespertine divennero "civici laboratori di attività pratica".
Caduto il carattere di scuola professionale, si vogliono evidenziare nuove caratteristiche: il momento di aggregazione sociale e l'aspetto economico che un tale laboratorio può assumere.
La scuola vespertina di piazza Palermo ha svolto per lunghi anni la sua funzione didattica e sociale e ancora ora ci sono molte signore ex alunne che la ricordano con piacere e conservano i manufatti che con tanto entusiasmo avevano portato a termine.
Io sono una di queste e ancora ora, a distanza di tanti anni, conservo deliziose e luccicanti borsette da sera che ho imparato a fare alle vespertine.








sabato 10 gennaio 2015

CAMICIE ROSSE ALLA FOCE 4 – 5 maggio 1860



Maria Rosa Acri Borello

   Il 15 aprile 1860 Garibaldi giunse a Genova, dove fu ospite di Candido Augusto Vecchi alla Villa Spinola di Quarto (allora comune suburbano autonomo). Il Generale aveva da poco rinunciato a “un colpo di mano” su Nizza, sua città natale, per impedire lo svolgimento del plebiscito, che doveva sanzionare l’annessione alla Francia in cambio della “non ingerenza” di Napoleone III, imperatore dei Francesi, nelle annessioni al Piemonte degli ex-Ducati dell’Italia Centrale e delle Legazioni Pontificie. L’organizzazione per la spedizione in Sicilia, dove il 4 aprile a Palermo era scoppiata una rivolta, subito repressa dalle truppe borboniche (ma era ancora in vita sui monti retrostanti la città), sia per la difficoltà di reperire armi (soprattutto fucili), sia per la scarsità di notizie provenienti dall’Isola, fu molto complessa. In realtà Garibaldi, considerato il tragico epilogo, nel 1857, della spedizione nel Sud Italia di Carlo Pisacane, esitò a lungo prima di prendere una decisione definitiva circa la partenza da Genova. In caso affermativo, però, aveva posto questa condizione: «Tutta l’Isola deve essere insorta». Allora il siciliano Francesco Crispi, sostenuto dal genovese Nino Bixio, cercò di forzare la situazione, facendo pervenire a Garibaldi un falso telegramma in cui si annunciava che tutta la Sicilia (e non solo Palermo) era “fuoco e fiamme”. Per l’esattezza, il testo del dispaccio, di cui l’autore era Crispi, recitava: «Incendio-est-totale».
   Nel frattempo, da tutte le parti dell’Italia erano arrivate a Genova centinaia di volontari (i più numerosi erano i Bergamaschi), per lo più in abiti borghesi. Costoro fremevano nell’attesa di imbarcarsi per la Sicilia. La maggior parte di essi (più di 800 e non 600, come da alcuni è stato detto) si radunarono nel Ponente della Foce: l’unica zona pianeggiante del Genovesato, con una lunga e larga spiaggia che si estendeva da Punta Vagno al Bisagno, dove la popolazione era composta in prevalenza da pescatori e contadini. Quest’ultimi erano chiamati nel loro dialetto (il “focese”) besagnini, poiché i loro orti si estendevano lungo le rive del fiume Bisagno e costituivano, assieme ai pescatori, una comunità solidale, eretta, appunto da Napoleone Bonaparte nel 1801 a Comune autonomo. Ed ortolano era pure Tommaso Parodi (sarà il decano della Spedizione, essendo nato nel 1791), che nel 1843 aveva combattuto nell’Uruguay alla difesa di Montevideo nella Legione Italiana, sotto il comando di Garibaldi. E fu quasi certamente il Parodi ad organizzare il trasporto dei volontari dalla Foce fino a Quarto: trasporto che i pescatori del luogo effettuarono mediante i loro capaci barconi (o “gozzi” o “burchielli”), che potevano contenere una decina di persone. Avrebbero dovuto remare con forza per poter trasportare tutti i volontari dalla spiaggia al largo, dove erano ancorate le navi, in attesa dell’imbarco!
   E lo stesso Parodi, probabilmente, fu presente a una specie di Consiglio di Guerra, presieduto, il 1° maggio, dal generale Garibaldi e svoltosi nella signorile abitazione del medico-patriota Agostino Bertani (a letto perché ammalato), sita a Genova in Strada Nuovissima (al numero 15 dell’attuale via Cairoli esiste la lapide commemorativa dell’evento). Qui furono stabiliti minuziosamente tutti i particolari (i tempi e le varie fasi) sia dell’imbarco sia della partenza. Per ultimi, Garibaldi e il suo Stato Maggiore si sarebbero imbarcati a Quarto.
   Il 4 maggio, a partire dalle nove del mattino, avrebbero dovuto svolgersi, entro il tempo massimo di tre ore, le operazioni d’imbarco su due vapori della Società Rubattino: il Piemonte e il Lombardo. Il comando del Piemonte, dove, al largo di Quarto, sarebbe salito Garibaldi, fu assegnato a Nino Bixio che, in gioventù, era stato marinaio; a Benedetto Marsiglia toccò il Lombardo. Secondo il piano prestabilito, alle nove del mattino, Bixio seguito da alcuni “uomini di mare”, finse di impadronirsi dei due vapori, come se si trattasse di un’azione piratesca ai danni dell’armatore Rubattino. Ciò al fine di evitare complicazioni diplomatiche sia con la Francia sia con l’Austria. La prima fase delle operazioni d’imbarco sui due vapori ormeggiati in Dàrsena si svolse velocemente: i volontari imbarcatisi sulle due navi, probabilmente, erano poche decine. Le operazioni d’imbarco alla Foce, dove fin dall’alba i pescatori erano pronti per trasportare al largo centinaia di Camicie Rosse, furono lunghissime. Quando furono terminate, erano quasi le sei di quel “mitico” 5 maggio. Poco dopo, le navi si fermarono al largo degli scogli di Quarto. Le barche e i “gozzi” dei pescatori fociani, straccarichi dei volontari e dei bagagli, si assieparono sotto i fianchi delle navi. Dopo circa mezz’ora una voce gridò: «Non salga più nessuno!».
   Dopo la conquista di Palermo (maggio 1860) Tommaso Parodi ritornò a Genova e alla Foce, dove continuò a fare il besagnino e dove morì, quasi centenario, nel 1890. Poiché aveva combattuto a Calatafimi e a Palermo, nel 1870, per Regio Decreto, gli fu assegnata la “pensione vitalizia” (lire cinquanta) di “garibaldino combattente”.



G


Questa targa, posta originariamente sulla torretta presso il cantiere della Foce a Punta Vagno, nel luogo corrispondente al punto d'imbarco, fu spostata durante i lavori di demolizione dei cantieri 50 metri ad ovest, dove era la sede della Società dei Pescatori.

Guido Sylva, uno dei Mille (1), scrisse:
"Chi giungeva in treno da Principe si costituiva in drappelli di otto uomini con un capogruppo che a ore segnate si recava in un posto convenuto a ricevere ordini. Il 5 maggio sono avvisati di recarsi alla sera fuori di Porta Pila sulla spiaggia del Bisagno. E' una splendida notte di luna piena. Pochi rumori e tutti erano in attesa di notizie. Ad un tratto uno sconosciuto si butta in acqua; viene salvato; è malato, ma vuole partire lo stesso; quel gesto lo ripeterà anche sulle barche. A mezzanotte accosta una flottiglia di barche. Salgono alla rinfusa; alle due sono a Quarto. Stanno quattro ore in attesa delle navi che finalmente, anticipate da fanali rossi e verdi, quasi all'alba arrivano. Le chiatte si avvicinano, i volontari salgono sulle navi. Di là vedono uscire da villa Spinola Garibaldi, seguito dal suo stato maggiore che va a prender posto sul Piemonte".

1) Nacque a Bergamo nel 1844 e vi morì nel 1928. Non ancora quindicenne, si arruolò nelle file dei Cacciatori delle Alpi e partecipò a numerosi scontri con le forze austriache. Nel 1860 prese parte alla spedizione dei Mille e fu ferito durante un attacco nei pressi di Calatafimi. Dopo la convalescenza gli fu attribuito il grado di sottotenente. Alla testa dell’VIII compagnia, composta da bergamaschi, il Sylva entrò in Napoli il 7 settembre e a Capua il 2 novembre. Conclusa l’impresa, egli entrò nell’esercito regio e nel 1866 partecipò alla battaglia di Custoza. Nel 1867 lasciò l’esercito e rientrò nella vita civile dedicandosi al commercio della seta. Tuttavia riprese le armi nel 1871 e come capitano di stato maggiore dei volontari garibaldini combatté nei Vosgi a favore della Francia, dalla quale fu insignito della Legion d’Onore. Preoccupato di correggere errori e di rettificare o di integrare notizie correnti sulla spedizione dei Mille e sul garibaldinismo, il Sylva pubblicò alcuni memoriali storici importanti per il loro intrinseco valore di attendibile testimonianza; fra essi assume rilievo la monografia intitolata Cinquant’anni dopo la prima spedizione in Sicilia, apparsa nel 1910 e ripubblicata con aggiunte cinque anni dopo con il nuovo titolo L’VIII compagnia dei Mille. Fu socio dell’Ateneo di Bergamo.

BIBLIOGRAFIA

AA.VV., Föxe de Zena, Genova, SAGEP, 1996
G.C. Abba, Da Quarto al Volturno, Bologna, Zanichelli, 1934
D.Mack Smith, Garibaldi, Milano, Mondadori, 1956
L. Morabito (a cura), Genova Garibaldina e il mito dell'eroe nelle collezioni private, Genova, De Ferrari, 2008


LA CAMICIA ROSSA


Rosa Elisa Giangoia

I Mille si imbarcarono a Quarto con i loro abiti borghesi; faceva eccezione il gruppo dei Carabinieri Genovesi che aveva una propria uniforme. Durante il viaggio furono distribuite 50 camicie rosse e solo dopo la presa di Palermo il costume garibaldino divenne la divisa, pur non ufficiale, dei volontari garibaldini.


Camicia di Garibaldi
(Museo del Risorgimento - Istituto Mazziniano
Genova)

Dopo il 1860 vi fu una certa uniformità tra le uniformi garibaldine, quando un intraprendente industriale, Alessandro Antongini, proprietario delle lane Borgosesia, lanciò sul mercato una stoffa di lanetta leggera in una apposita tinta detta "rosso garibaldino" la cui "ricetta" è conservata negli archivi della Borgosesia.












LA CAMICIAIA DEI MILLE




Rosa Elisa Giangoia

Un'altra figura lega i Mille alla zona della Foce, ed è, appunto quella della "camiciaia dei Mille, ben tratteggiata da Pier Luigi Derchi nel suo omonimo romanzo (Erga Edizioni, Genova 2006), in cui viene rievocata la vicenda di Agostina Baglietto, figlia di Benedetto, Console dell'Arte dei Calafati dal 1852, originario di Varazze e con alle spalle un'esperienza di lavoro a Gibilterra.
Questa giovane genovese lavorava nel negozio laboratorio delle sorelle maggiori nella zona di Porta Pila e, per far piacere alla sua amica e compagna di lavoro Francesca, confezionò una camicia rossa per il fratello, intenzionato a partire con Garibaldi. Di lì sarebbero nate tante altre ordinazioni di camicie rosse per i garibaldini. In seguito Agostina si sposò con Camillo Daccà, manente della villa di famiglia in Albaro, e gli sposi misero "su casa nei pressi di un viale della Genova nuova, in via della Libertà". Condussero una vita serena e tranquilla, allietata da due figli, Carlo e Rosetta, che, rievocando un momento della sua fanciullezza, ebbe a dire: "Papà e mamma erano molto religiosi; mio padre era confratello della Conferenza di S. Vincenzo de Paoli della loro parrocchia di S. Zita prima e successivamente di S. Francesco d'Albaro, quella mattina d'inizio estate si era andati tutti a messa al Rimedio di piazza Alimonda, la chiesa amata dalla mamma, dove all'uscita aveva l'opportunità di incontrare amiche e anziane clienti e papà di parlare con contadini e manenti scesi da Albaro e gli amici della Società di Mutuo Soccorso fra Operai e Contadini del confinante comune di S. Fruttuoso" (p. 55).
Camillo morì nel 1941 e Agostina l'anno dopo. Riposano nella cappella di famiglia di Voltaggio dove avevano preso l'abitudine di trascorrere l'estate.